É scomparso a 89 anni Paddy Hopkirk, uno dei più grandi piloti rally di sempre, decisivo il suo contributo nella creazione di un mito come quello della Mini Cooper
Un personaggio leggendario, intorno al quale si dispensano miti e aneddoti come per i grandissimi piloti del passato: Lauda, Michael Schumacher, Fangio, Nuvolari.
Perché è a questo empireo di pochi eletti che dovrebbe appartenere il mito di Paddy Hopkirk, autentica leggenda del rally molto prima che la specialità del fuoristrada diventasse oggetto di interesse per il mondo delle televisioni e dei media di massa.
C’è sempre da chiedersi che cosa sarebbero oggi personaggi del genere, con la diffusione mediatica odierna. Hopkirk, nordirlandese di Belfast, iniziò a correre con quelle che lui stesso definiva “auto rubate”.
“Ci facevamo prestare auto da buttare via, autentici rottami – aveva raccontato in uno splendido documento filmato della BBC – e ci lavoravamo giorno e notte fino a renderle competitive. Trovavamo in qualche modo gomme, benzina, un paio di marchi di negozi o meccanici. E ci buttavamo allo sbaraglio”. Hopkirk con le sue ‘auto rubate’ si mette in luce nelle cronoscalate quando aveva poco più di vent’anni.
La grande occasione gli arriva con la prima ‘auto ufficiale’. Per lui, figlio di una famiglia popolarissima quel contratto in cui lo pagavano per correre doveva essere una sorta di miracolo. Vinse per tre anni di fila l’Hewison Trophy. E a metterlo sotto contratto fu il marchio britannico per eccellenza, la British Motor Company proprietaria di marchi consolidati come Austin, Morris, MG. Hopkirk era reduce dalla sua prima mezza stagione RAC con una macchina ufficiale della Standard. Per lui, nordirlandese, firmare con gli inglesi era una sfida e un vanto… “ci voleva uno di Belfast per far volare queste scatolette” aveva detto dopo avere visto per la prima volta la Mini Cooper S, la versione rally della splendida e iconica auto anni ’60.
E con lui al volante la Cooper volava sul serio. Vinse il Rally di Montecarlo del 1964. La sua auto con il tetto bianco e rosso diventò presto un’icona. Fu dopo una delle sue gare che uno dei designer della Mini decise di creare una livrea sul tetto, quella Union Jack che ancora oggi molte Mini moderne, non più prodotte né progettate nel Regno Unito, espongono con orgoglio.
Quando il primo ministro di allora – sir Alec Douglas-Home – lo vide vincere dopo il Tourini, gli spedì un telegramma di felicitazioni. Vinse molto nei rally, non rinunciando mai alla sua grande passione, le gare in salita. E senza rinunciare a bizzarre avventure endurance in circuito.
Il suo sogno sarebbe stata la Parigi-Dakar: “Peccato – disse in una intervista del 2002 – l’hanno creata un po’ troppo tardi”. In compenso si misurò in quella che all’epoca era una vera epopea, la Maratona London-Sydney. Nel 1968 stava vincendo una gara che significava gloria eterna e un sacco di soldi.
Ma non esitò a buttarsi fuori dalla sua Austin 1800 per salvare Bianchi e Ogier vittime di uno scontro frontale, mentre la loro Citroën DS stava andando a fuoco. Dopo avere messo in salvo i suoi avversari Hopkirk guidò come un pazzo contromano per bloccare la strada evitando uno schianto a catena con gli altri partecipanti. Un gesto che gli valse un onore al merito; ma che gli costò la vittoria. “Mi devi un trofeo…” disse scherzando a Bianchi e Ogier dopo essere arrivato secondo.
Un personaggio leggendario che ebbe grande successo anche nel mondo imprenditoriale aprendo una catena di negozi di ricambi. Quando la BMW comprò il marchio Mini i capiprogetto chiamarono lui: “Non snaturatela, deve essere bombata, gonfia, potente e bassa. E con il tetto colorato anche se la costruirete in un dannato stabilimento tedesco o altrove…” disse.
Una delle prime Mini personalizzate fu la sua. Gli venne regalata dalla BMW: aveva il tetto bianco e rosso e il numero #37 come quella con cui vinse il Montecarlo. La pilotò giù dai tornanti di Montecarlo definendola “elegante ma meno brillante di quella vecchia…”.
Hopkirk lascia la moglie Jennifer, tre figli e sei nipoti. É stato uno dei primi indotti nella Hall of Fame del Rally: nel 2010, insieme a Timo Makinen, Rauno Aaltonen ed Erik Carlsson.
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