500 Miglia di Indianapolis, un bagno nel latte per il vincitore: la tradizione

Una delle immagini più coniche della 500 Miglia di Indianapolis riguarda la premiazione, quando il vincitore deve bere avidamente dalla bottiglia di latte: ecco spiegato il perché di una tradizione tanto curiosa

Indianapolis 500
Tuffo nel latte per Tony Kanaan dopo la vittoria del 2013 (Getty Images)

Sono poche le corse automobilistiche che vantano il fascino della 500 Miglia di Indianapolis, una gara che esiste da moltissimo tempo e che pur cambiando nel corso degli anni, adeguandosi allo spirito televisivo della manifestazione, ho saputo mantenere delle tradizioni che sono davvero uniche nel loro genere.

500 Miglia di Indianapolis, latte a volontà

Era l’edizione del 1936, la 24esima. Una corsa che sarebbe passata alla storia intanto perché fu la prima nella quale comparve il Borg-Warner Trophy. E poi, perché in pista per la prima volta fece il suo esordio la Pace Car. All’epoca si trattava di una rivoluzione straordinaria per il mondo dell’automobilismo, nata per rendere più sicure le numerose interruzioni cui la corsa era chiamata, soprattutto per via dei frequenti incidenti. La Pace Car, da Indianapolis, si diffuse rapidamente in tutto il mondo dell’automobilismo sportivo ed è stata accolta ma molti anni più tardi, anche Formula 1. In realtà quell’edizione della 500 Miglia di Indianapolis fu segnata dall’edizione ancora più curiosa, il cosiddetto bagno nel latte.

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Il bagno nel latte

Nel 1936 vinse Louis Meyer al termine di una gara rocambolesca e difficile, quattro ore e mezza in un caldo torrido. Meyer, nato a Manhattan ma cresciuto a Los Angeles, uscì dalla sua macchina completamente disidratato e chiese del latte fresco. Gli portarono un bottiglione di vetro dal quale il pilota, alla sua terza vittoria a Indianapolis, bevve avidamente quasi un litro di latte in un sorso solo.

In Indiana, un paese contadino di allevatori e coltivatori, la cosa non passò inosservata e un produttore locale sfruttò l’idea con una sponsorizzazione. La guerra tagliò la corsa e le sue tradizioni: tant’è che quando a vincere fu Wilbur Shaw, anche lui alla sua terza vittoria, gli portarono del latte. Ma lui rifiutò, dicendo di essere allergico. Quando Shaw morì in un incidente aereo nel 1954, gli sponsor del latte si rifecero sotto. E pagarono parecchi soldi, purché vincitore e meccanico bevessero dal bottiglione di vetro.

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Juan Pablo Montoya beve il suo latte dopo la vittoria con la Chevrolet Penske del 2015 (Getty Images)

Il caso Fittipaldi

Una tradizione che è durata molto a lungo: con qualche eccezione. Emerson Fittipaldi nel 1993, sponsorizzato da un’azienda di succhi di frutta brasiliana, si rifiutò di bere il latte e pretese del succo d’arancia. Il pubblico lo fischiò in modo impietoso: qualcuno parlò anche della maledizione del latte, che avrebbe impedito a Fittipaldi di vincere ancora a Indianapolis. In effetti l’anno dopo, quando era in testa, il brasiliano ebbe un incidente e perse la corsa.

Fittipaldi, due anni dopo, fece marcia indietro: e chiese scusa devolvendo in beneficenza i soldi della sua vincita nel 1993. Ma non vinse mai più.

Da qualche anno tutti i piloti prima di partire devono rispondere a un questionario: che latte vogliono in caso di vittoria. Magro, intero, scremato, pastorizzato, senza lattosio… alla fine alzare il trofeo Borg-Warner val bene anche un po’ di mal di pancia in caso di intolleranza.

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