Inizia dai Lego la quarta puntata della nostra serie dedicata alle canzoni del Festival di Sanremo. Si parla di giocattoli e viaggi, treni, navi e aerei
L’INDICE
Prima puntata – Festival di Sanremo, le Auto nelle canzoni: Rolls Royce, un Gran Premio e non solo
Seconda puntata – Festival di Sanremo: Fiat Seicento o Lamborghini, le Auto tra amore e nostalgia
Terza puntata – Festival di Sanremo, Vespa e Lambretta: le Moto nelle canzoni
“Siamo Lego in mezzo al traffico di Play Mobile”. Come sentirsi un po’ fuori luogo, parole e musica dei torinesi Eugenio in via di Gioia, premio della critica nella categoria Nuove proposte al Festival di Sanremo 2020. E’ un particolare, ma aiuta a raccontare l’idea del viaggio, dello spostamento verso un altrove come strumento per la ricerca di un luogo chiamato “felicità”. Il loro “Tsunami” inaugura la quarta puntata della serie sulle suggestioni legate ai motori sul palco del Festival.
Il nostro viaggio prosegue attraverso dettagli, brevi fotogrammi e treni in galleria. Ne resterà un puzzle composito e variegato, che racconta le dimensioni del movimento via acqua, aria, ferro. Movimenti di treni e di aerei, che stanno al cielo come le navi al mare.
Storie per chi ha una barca da scrivere o un treno da perdere, verrebbe da dire citando Fabrizio de André. Faber al Festival non ha mai partecipato, ma in un certo senso ha fatto parte anche lui della gara. Era il 1985, i New Trolls hanno spiazzato con una canzone dall’ambientazione e dalla storia decisamente inusuale.
I treni “senza cuore” a Sanremo
Comincia in un vagone. Qui dorme “Faccia di cane”, protagonista che dà il titolo al brano. “Faccia di cane lascia la stazione”, “la gente ride, ma lui le dà una mano e la riporta su” cantano. Vuole trovare “ il sale, in questa città che prende a calci un cane mentre muore di fame, in questa città che affoga senza il mare“.
Arrivano ventesimi su 22, cantando il sogno di un emarginato che si impegna per aiutare gli altri. Un testo “alla De André”, si intuisce al primo ascolto. Anni dopo si sarebbe svelato il segreto: Faber era effettivamente il coautore ma non aveva voluto attribuirsi quel ruolo durante il Festival.
“I treni sono cose senza cuore” scandivano Rosanna Fratello e Brenton Wood (Il treno, 1969) perché non sanno che un minuto dura una vita intera per chi si ama. La storia del Festival tramanda i treni delle 7.30 che partono senza Marco (La solitudine, Laura Pausini), treni che vanno “a Paradiso città” (Gianluca Grignani). Racconta anche i treni giocattolo di Maurizio Lauzi (1997).
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Festival di Sanremo, viaggi in musica
I treni si prendono e si perdono, come gli ombrelli e i giornali da leggere male. Si prendono, e magari si perdono, quando qualcuno ti dice “Vattene amore”. Specchio di una relazione, gioco surreale e irresistibile di un paroliere dell’effimero, un poeta della frammentazione, che si è concesso il gusto di sperimentare il tormentone. Pasquale Panella, autore delle canzoni di Lucio Battisti post-Mogol, completa un piccolo capolavoro che tutti abbiamo canticchiato almeno una volta. Ed è arrivato perfino nell’aula del Senato. Perché in fondo, come diceva Botero nell’edizione 2002 del Festival di Sanremo, “i treni siamo noi”.
Chi cerca amore, ovunque amore ci sia, parte. Lo fa anche in aereo, chiedere ai fratelli Gianni e Marcella Bella (“Verso l’ignoto, 1990, con La Toya Jackson). L’amore è “L’ottava meraviglia” (Ron, 2017): “Nei miei occhi l’America, Nei tuoi passi l’Oriente”.
L’ignoto però fa anche paura. Come fanno paura gli aerei se, dai carri dei campi, salti cent’anni in un giorno. La distanza si fa atlantica per l’emigrante che saluta, “Ciao, amore ciao“. Diventerà un addio, quello di Luigi Tenco, eliminato e trovato morto. Morì così, il giovane angelo che girava senza spada nel ritratto omaggio di Francesco De Gregori. “La notte presero le sue mani e le usarono per un applauso più forte” dirà in ‘Festival’.
Da “Con te partirò” allo yacht di Ibrahimovic
Una delle immagini, delle suggestioni più ricorrenti per raccontare la vita e i desideri di migliorarla, hanno a che fare con il mare. Non con lo Yacht extra-lusso di Zlatan Ibrahimovic, magari. Hanno a che fare con il sentirsi protetti perché insieme alla persona amata, ma sballottati dalle onde del destino. Come “L’arca di Noè” che cantano Sergio Endrigo e Iva Zanicchi nel 1970. Sicuri che “La nave partirà. Dove arriverà, questo non si sa”.
“La nave va, (E guarda) più in là, contro il cielo nero, sopra un mare duro” racconta Mango nel suo “Viaggio” del 1985. Va, porta sogni e speranze. Porta orizzonti immaginati, gli stessi di Andrea Bocelli che si rivelò dieci anni dopo con la promessa di partire e di andare su navi e per mari che non esistono, per vivere paesi che non ha mai veduto e vissuto.
Un’ultima suggestione, prima di andare via. Il grande mare da attraversare è anche uno scenario di solitudini. L’immensità può anche farci sentire come “navi perdute dentro questo mare. Con la solita luna ferma lì a guardare: due domani che non si incontreranno mai” (“Soli”, Drupi 1982). O due Lego in mezzo al traffico di Playmobile. Così è, se vi pare.