Il dualismo tra la Vespa e la Lambretta, e molto altro. Le emozioni legate alle moto sul palco del Festival di Sanremo
Dalle quattro alle due ruote, a Sanremo anche le moto hanno fatto parte del tappeto narrativo delle canzoni. Moto che si mischiano alle auto, ai taxi, ai camion, in uno dei più particolari tentativi di portare la canzone umoristica al Festival, “La ballata del pedone” del 1963.
L’inviato della Stampa la definisce una filastrocca alla Paoli o alla Gaber, che non a caso la inciderà come lato B di Goganga. Narra le sventure di un pedone che non riesce ad attraversare sulle strisce così muore sul selciato a due giorni da Ferragosto, quando da lì non sarebbe passato più nessuno. Cantano Ennio Sangiusto, precursore triestino del twist, e il Quartetto Radar, con un repertorio simile a quello del più celebre Quartetto Cetra. Non andrà benissimo.
Questo tentativo di mettere in musica, in forma di filastrocca orecchiabile, un tema profondo come le conseguenze dello sviluppo industriale, ci porta al tema di questa terza puntata della nostra serie sui motori nei testi delle canzoni del Festival di Sanremo.
Parliamo di moto, partendo dalle due che hanno raccontato lo sviluppo dell’Italia, la Vespa e la Lambretta. Sono i simboli della ripresa nel secondo dopoguerra, e avviano la rivalità Piaggio-Innocenti.
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Piaggio alla Vespa arriva partendo dal prototipo della MP5 Paperino del 1943. Innocenti, invece, inizia dal design minimalista e dal telaio tubolare della 125 A del 1947. Col tempo, però, le differenze si sarebbero appianate. Già negli anni Cinquanta le due moto sono più simili. Proprio al 1951 risale l’unica citazione della Lambretta a Sanremo.
Ci andava a passeggio la “Sorrentinella” cantata dal Duo Fasano, questa ragazza che ballava tarantella e fox-trot ma ha “messo a dormire tamburello coi campanelli e il putipù”. Con la Lambretta va solo a passeggio, e non più a sognare in riva al mare.
Agli anni Cinquanta è legato anche l’unico riferimento alla Vespa. Dobbiamo tornare al 1950. Non è l’anno di partecipazione, perché è del 1983, ma il titolo.
Il 1950 in questione è quello immaginato da Amedeo Minghi, che con questo brano debutta a Sanremo: sarà eliminato, ma la canzone diventerà un classico del cantautore. Il protagonista della canzone, in Vespa vuol portare al mare la sua Serenella. E le dedica questa serenata, questo piccolo e rinfrescante sogno. “La radio trasmetterà la canzone che ho pensato per te – canta – e forse attraverserà l’oceano lontano da noi. L’ascolteranno gli americani, che proprio ieri sono andati via e con le loro camicie a fiori che colorano le nostre vie e i nostri giorni di primavera”.
I giorni di un’Italia che voleva uscire dalla guerra. I sogni dell’Italia che si sarebbe specchiata in Gary Grant sulla Vespa con il Colosseo alle spalle durante le sue iconiche “Vacanze romane”. Peraltro, Vacanze romane è anche il titolo di una hit dei Matia Bazar, una delle canzoni di maggior successo presentate in quella stessa edizione 1983 del Festival (c’erano anche L’Italiano di Toto Cutugno e Vita Spericolata di Vasco Rossi).
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Come l’auto, anche la moto è uno status symbol. “Quando vado allo stadio, l’unica moto di classe in città è la mia” cantano Robertino e Rocky Roberts nel 1969. Cantano “Le belle donne”, in questo inno all’amore come primo motore della vita.
La “moto che va” è un simbolo di gioventù. Simbolo della “Bella età” che racconta nel 1987 uno Scialpi malinconico per quei vent’anni che svaniscono presto, che vogliono dire responsabilità: “Basta un disco, Una bibita in fresco
E la moto che va… Sto morendo dentro ma nessuno sa”.
Simbolo di un disimpegno ostentato nei ruggenti anni Ottanta. In moto va, ma senza casco, il Jovanotti giovane e giovanilista di “Vasco”, quinto nell’anno della sfortunata conduzione dei “Figli d’arte”.
“Cuore spento, moto accesa” è la risposta degli Elite alla “Malinconia d’ottobre” che dà il titolo al loro brano del 1990. La ricetta per sorpassarla è presto detta:
“Sembra nebbia la foschia. Per sentire un altro brivido, un’accelerata e via”.
La malinconia, l’autunno dello spirito, prende anche Luca Sepe nel racconto della fine di un’amore, “Un po’ di te” del 1998. “So che sono me stesso se piango
Sulla mia moto dove adesso c’è Troppo spazio per me” canta.
Dal tramonto di un’amore all’alba di una storia, infine. “Quando una ragazza c’è” dicono gli Offside nel 2002, “prendi su la moto e vai sotto una finestra che, è già spenta ormai. Passi un dito su di te. Dove ti ha baciato lei”. Pure questo è amore.
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