Hubert Auriol è stato uno dei protagonisti più straordinari della vita della Dakar: capace di andare oltre cadute, infortuni e paure…
Quello che oggi tutto il mondo scriverà di Hubert Auriol, scomparso dopo una lunga malattia a 68 anni, sarà probabilmente una sintesi di quello che la sua ricca biografia offre. Le vittorie, i trionfi in moto e in auto alla Dakar, i suoi record.
In realtà per descrivere Hubert Auriol bisognerebbe avergli parlato almeno qualche volta e averlo visto nel suo ambiente naturale, in un bivacco della Dakar. Ci sono decine di video che riguardano i suoi arrivi trionfali, che molto spesso faceva in piedi, sulla sua moto, come se fosse un cavaliere medioevale. Alto, fiero, elegante nei suoi modi anche quando arrivava sporco e sfatto dopo una traversata del Sahara.
Era un pilota veloce e potente, ma elegantissimo. Il suo stile di guida sulla sabbia aveva rivoluzionato il modo di affrontare il Sahara e le sue dune. Le sue moto sembravano galleggiare. Come se viaggiassero su un cuscino d’aria. Sapeva interpretare la corsa meglio di chiunque altro. Imparava il roadbook a memoria: e all’epoca il GPS non esisteva. Se ti perdevi erano c…
Oggi forse sorriderebbe delle polemiche legate a traiettorie sbagliate e macchine da centinaia di migliaia di dollari perse nel deserto
Il suo lato più umano era uscito quando aveva diretto la corsa per ben nove edizioni: prodigo di consigli, curioso, attento ai talenti e agli esordienti con cui si intratteneva sempre al bivacco, tra una tazza di karkadé e racconti delle prime, leggendarie, edizioni del rally raid.
Tuttavia il suo video più famoso riguarda il momento più drammatico della carriera.
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Era il 25 gennaio del 1987: Auriol partecipa da superfavorito alla Dakar con una meravigliosa Cagiva ufficiale. É la penultima prova speciale: arrivano tutti i favoriti, con Cyril Neveu che punta alla testa della classifica generale.
La rivalità tra i due, Auriol e Neveu, era all’apice: una rivalità fiera che aveva letteralmente diviso gli appassionati di moto e di Dakar in due fazioni contrapposte.
Da una parte i sostenitori di Neveu, quasi tutti fan della Honda e del meraviglioso Africa Twin. Dall’altra chi vedeva in Cagiva e nella eleganza chirurgica della guida di Auriol la risposta allo strapotere giapponese. Auriol difende il suo primo posto in classifica. Ma al bivacco di Saint-Louis, quando manca solo l’ultima tappa per arrivare sulla spiaggia di Dakar, Auriol non si vede. Arrivano tutti: Neveu sa di essere in testa. Ma qualcuno gli dice che il suo grande avversario è caduto.
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Sono momenti di autentica preoccupazione che solo chi ha vissuto un bivacco alla Dakar può capire. Arriva al traguardo anche Marc Joinea che rivela di avere aiutato Auriol a risalire in setta dopo una terribile caduta. La sua Cagiva era danneggiata e il francese, ormai soprannominato “L’Africano”, non stava in piedi. Auriol arriva al traguardo in lacrime con entrambe le caviglie rotte. Chi lo vede non sa come sia riuscito a compiere un’impresa incredibile, tra dolori indicibili. Auriol chiama il team manager della Cagiva, Roberto Azzalin… “Ti prego, dimmi che sono davanti, dimmi che ho battuto la Honda”.
Azzalin lo calma, lo sdraia a terra. Lo tranquillizza e poi lo convince a ritirarsi: deve andare in ospedale e curarsi. Auriol chiederà un asciugamano e, seduto a terra, chiederà l’attenzione delle telecamere per la sua ultima dichiarazione: “Cyril Neveu è un campione, quest’anno il migliore è lui. Devo ritirarmi”.
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Non tornerà più alla Dakar con una moto. Ma la vincerà ancora nel 1992 con un Mitsubishi Pajero, il primo rider a conquistare il rally raid più duro del mondo sia con una moto che con un’auto.
Bon Voyage, Hubert l’Africain…
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