Morto per complicazioni dovute al Covid-19 Hubert Auriol, primo a vincere la Dakar con le moto e le auto. Ha anche diretto la corsa per nove anni
E’ morto durante la sua amata Dakar, Huber Auriol. Il pilota francese è scomparso a 68 anni. Era malato da tempo. Contagiato dal coronavirus, era in terapia intensiva.
Ha fatto la storia della Dakar, la competizione a cui ha legato indissolubilmente il suo nome. Fu il primo a vincere il rally sia in moto (1981 e 1983) sia in auto (1992). Della Dakar è stato anche direttore per un periodo di nove anni, dal 1995 al 2004.
Auriol è nato in Etiopia, ad Addis-Abeba, dove suo padre gestiva la locale ferrovia. “Sono cresciuto in un film in Technicolor” ha detto una volta.
Il fascino dell’Africa non si è mai spento. Alla Dakar, che allora si correva nel continente, ha trionfato due volte in moto in BMW e poi sulle quattro ruote, con la Mitsubishi, nel 1992. Un primato, il suo, che sarà poi eguagliato da Stephane Peterhansel e Nani Roma.
Avrebbe potuto conquistare anche altri successi in moto con la Cagiva. Sfiora il trionfo nel 1985, deve ritirarsi all’ultima tappa nel 1987, mentre è in testa, per fratture a entrambe le caviglie.
Resta memorabile anche la sua partecipazione del 1988 su una buggy Kouros, uno dei veicoli più bizzarri mai visti nel rally raid. L’Equipe lo racconta come “una grossa libellula a un posto con due ruote motrici, importata dagli Stati Uniti“. Uno specchio della personalità di Hubert Auriol.
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L’eredità di Hubert Auriol, il ricordo di Luc Alphand
Dopo i nove anni in cui ha diretto la Dakar, è tornato di nuovo in pista su una Isuzu nel 2006. Auriol vanta anche un altro record, tuttora imbattuto. Insieme a una leggenda come Henri Pescarolo, e ad altri due compagni di viaggio come Fourticq e Powell, ha battuto il primato per il giro del mondo su un aereo a elica. Hanno impiegato 88 ore, tre in meno del record di Howard Hughes che durava dal 1938.
“Per me, Hubert era l’immagine del motociclista che si batteva sempre in pista” ha detto all’Equipe Luc Alphand, il campione francese di sci che ha poi iniziato una seconda carriera di successo nei rally raid. “Poi quando sono arrivato alla Dakar nel 1998, ho scoperto l’uomo. Aveva grande passione, era molto umano come capo. Poi certo parlarsi da sportivo a sportivo era più facile. Aveva le corse nel sangue. Quando l’anno scorso è tornato, aveva gli occhi che brillavano. E’ questa l’immagine che conservo di lui“.