Il 15 ottobre 1970 usciva “Emozioni”, album capolavoro di Battisti. Mogol elaborò il testo della canzone che dà il titolo al disco durante un viaggio in Fiat 500
Usciva cinquant’anni fa, il 15 ottobre 1970, uno degli album simbolo della musica italiana. Una delle vette più alte della collaborazione fra Mogol e Lucio Battisti: “Emozioni”. La perla che dà il titolo all’album nasce in forma compiuta su una Fiat 500. Ma la storia, che racconta magistralmente l’amico Giuseppe Pastore sul sito di Sky Tg 24, ha un prologo nell’estate del 1970. Un viaggio a cavallo Milano-Roma, in compagnia di Mogol, lascia a Battisti lo stupore per la riscoperta della natura e l’ispirazione per la prima traccia musicale di quello che diventerà uno dei suoi capolavori.
Mogol abbozza il testo nella sua casa di campagna, ma la vera ispirazione gli viene in macchina, come racconta Giuseppe Salvatore nel libro L’Arcobaleno. Sta viaggiando con la famiglia su una Fiat 500 Giardiniera.
Non ha fogli di carta per scrivere, non ha un lettore per le cassette dove ascoltare almeno la melodia che intanto Battisti aveva inciso su nastro dopo il viaggio, per cui si ripete in mente i versi decine di volte e solo una volta a casa, di getto, li mette su carta. Tu chiamale, se vuoi, emozioni.
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La canzone è una profonda riflessione sulla precarietà dell’esistenza, che contiene anche un accenno alla ricerca del pericolo estremo come baudeleriano viaggio al termine dell’ignoto per sentire qualcosa di nuovo.
Così, “guidare a fari spenti nella notte per vedere se poi è tanto difficile morire” diventa metafora esistenziale. Il motore e il viaggio, però, hanno un ruolo non certo marginale anche come immagine di ottimismo e di innocenti evasioni.
L’album, ad esempio, contiene anche “Il tempo di morire” che però per tutti è e sempre sarà “Motocicletta”. Ovviamente 10 HP, tutta cromata. Simbolo di una voglia di indipendenza e di libertà sulla scia del boom economico. Quei 10 cavalli, oggetto del desiderio, sono poco più dei nove che allora garantiva il motore del Vespone 150 cc. Eppure, il protagonista sarebbe disposto a cedere la moto che gli costa una vita e per niente la darebbe, in cambio di una notte d’amore con una donna che però ama un altro.
Un’emozione per un’altra emozione, il desiderio per la moto scambiato con il tempo di morire, non in senso letterale ma di abbandono al piacere, fra le braccia della donna. Il motore come ossessione, come simbolo di infinite possibilità ed è un tema ricorrente in Bruce Springsteen e nel rock americano degli anni Settanta e Ottanta.
Il motore come orizzonte di libertà, un tema che in Battisti troverà l’espressione massima in “Sì, viaggiare”. Perché a tutti serve il gran genio di un amico che sappia sempre cosa fare, che sappia aggiustare le cose. Non per volare, ma almeno per tornare a viaggiare. Evitando le buche più dure, rallentando per poi accelerare.
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