Gp Monza. Storia, aneddoti e incidenti legati a una curva simbolo dell’Autodromo, il tempio della velocità in Formula 1: la Parabolica
In origine la chiamavano semplicemente Curvetta. Era un curvone ad ampio raggio, formato in realtà da due tornanti con ampiezza di 90 gradi raccordati da un brevissimo tornante. Diventò famosa come Curva del Porfido, per via della pavimentazione, in quanto usato per test sui materiali. Dal 1955, dopo la ricostruzione del tracciato, assumerà quel nome che è insieme didascalico e immaginifico, fredda descrizione e invito al sogno: Curva Parabolica.
Non va confusa con sopraelevata che non si usa più in Formula 1 dal 1970 e faceva parte del vecchio anello d’alta velocità. La Parabolica, infatti, deriva dalla modifica non della curva sud dell’anello ma delle due “curve del Vedano” che precedevano il rettilineo d’arrivo, dove Ascari andò in testacoda all’ultimo giro nel 1953, coinvolgendo Farina e spalancando le porte del primo trionfo a Monza di Juan Manuel Fangio.
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GP Monza: Parabolica, velocità e pericolo
Proprio l’argentino due anni prima aveva percorso un giro a una media superiore ai 200 km/h: non era mai successo prima in un Gran Premio. Monza iniziava a conquistarsi la sua fama di tempio della velocità, che peraltro mantiene ancora. E’ qui che Juan Pablo Montoya nel 2004 ha completato il giro ad oggi più veloce di sempre in Formula 1.
La velocità, in quelli pionieristici con le monoposto a forma di proiettile e i piloti senza le protezioni di oggi, è ebbrezza e pericolo, limite sottile tra la vita e la morte. Limite che Wolfgang Von Trips supera nella tragica edizione 1961.
Il tedesco, che avrebbe potuto diventare uno dei migliori piloti della sua generazione sta terminando il rettilineo prima della Parabolica, che Jim Clark davanti a lui ha già impostato. Le traiettorie si incrociano, le ruote si toccano, Von Trips decolla. Il pilota muore sul colpo, la sua Ferrari falcia dodici spettatori in cima al terrapieno. I suoi parenti decidono di cedere un kartodromo che aveva fatto costruire nella cittadina dove era nato, Kerpen-Horrem. Lo prende in gestione Rolf Schumacher, il padre di Michael e Ralf.
Dall’anno successivo, la F1 non ha più corso a Monza sul doppio percorso, ha usato sempre e solo il tratto di pista stradale. La sicurezza aumenta, ma non evita del tutto gli incidenti. Il 6 settembre 1970 durante le prove si schianta la Lotus di Jochen Rindt, pilota austriaco e unico campione del mondo postumo nella storia della Formula 1. Spettacolare, ma senza conseguenze, invece, l’incidente del tedesco Derek Warwick nel 1990.
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Monza, la storica volata del 1971
Ma velocità non vuol dire solo pericolo. E’ eccitazione, lotta sul filo dei millesimi. Monza, soprattutto nella configurazione dei primi anni Settanta, quattro rettilinei e un paio di tornanti che poi spariranno, esalta le vite come Steve McQueen. O come Peter Gethin, figlio di un fantino britannico che ha iniziato a correre in Formula 3 perché al manager di un team piaceva la sua fidanzata. Nel 1970 ha preso il posto di Bruce McLaren morto a Goodwood. Nel 1971 è arrivato secondo al Norisring con una Can-Am McLaren M8D nella gara segnata dalla morte di Pedro Rodriguez, uno dei due fratelli messicani cui è intitolato il circuito dove Schumacher ha ottenuto il primo podio in Formula 1. Rodriguez muore in un incidente con lo svizzero Mueller. E’ stato proprio lui a prestargli la monoposto per la gara, una Ferrari 512 della casa di produzione di “Le Mans” proprio con Steve McQueen.
Cacciato subito dopo dalla McLaren, a Monza corre su una BRM. La gara sembra una tappa di pianura del Giro d’Italia, con tanto di gruppetto compatto all’arrivo e volata finale. Il primo ad attaccare è il francese Cévert che vuole arrivare all’esterno alla Parabolica e sullo scatto sorprende Peterson. Dietro però Gethin prende la scia di Hailwood e si infila di forza. Cévert lo accuserà di averlo buttato fuori pista.
Per l’ordine d’arrivo, c’è bisogno del fotofinish. I primi quattro sono concentrati in 18 centesimi. Un arrivo simile non si vedrà mai più. E Gethin non vincerà più in Formula 1.
Oggi non esiste quella versione del circuito a Monza. Non c’è più nemmeno quella Parabolica, che ha cambiato aspetto con la via di fuga asfaltata che ha tolto un po’ di brivido a una curva dove prima non era concesso sbagliare. Dove si misurava la distanza tra l’ottimo pilota e il grande campione.
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