Virgin Atlantic, compagnia aerea in bancarotta: debiti monstre per il Covid

Virgin Atlantic, compagnia aerea in bancarotta: debiti monstre per il Covid. L’istanza presentata negli Usa è arrivata dopo aver ricevuto 1,5 miliardi di dollari di aiuti

Fallimento Virgin Atlantic
Virgin Atlantic, compagnia aerea in bancarotta: debiti monstre per il Covid (Foto: Getty)

La Virgin Atlantic ha presentato istanza di fallimento negli Stati Uniti a causa dei debiti accumulati per la pandemia di coronavirus. L’industria aeronautica mondiale continua ad essere in ginocchio nonostante una parziale riapertura dei voli internazionali.

La compagnia aerea con sede nel Regno Unito, ha chiesto la protezione dell’articolo 15 del  codice fallimentare statunitense, che consente a un debitore straniero di proteggere le attività nel paese.

È il secondo brand aereo a marchio Virgin a saltare quest’anno. La Virgin Australia, infatti, è entrata in amministrazione controllata ad aprile.

Nel frattempo il nuovo proprietario della compagnia australiana, Bain Capital, ha annunciato che taglierà 3000 posti di lavoro per garantire la sopravvivenza aziendale.

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Virgin Atlantic, compagnia aerea in bancarotta: tutta colpa del Covid-19

Virgin Atlantic
Virgin Atlantic, compagnia aerea in bancarotta: tutta colpa del Covid-19 (Foto: Getty)

Il tribunale fallimentare statunitense ha dichiarato di aver negoziato un accordo con le parti interessate “per una ricapitalizzazione consensuale” che taglierà il debito monstre della Virgin Atlantic, permettendo una “crescita sostenibile a lungo termine”.

La mossa arriva meno di un mese dopo che la compagnia aerea aveva ottenuto 1,5 miliardi di euro di aiuti per sopravvivere alla pandemia di coronavirus.

L’assistenza finanziaria ha previsto anche un’iniezione di fondi privati da parte del Virgin Group di Richard Branson, con un assegno di ulteriori 200 milioni di euro.

A maggio la Virgin Atlantic, che è posseduta al 51% dalla Virgin Group e al 49% dalla compagnia aerea americana Delta, ha annunciato che taglierà più di 3.000 posti di lavoro solo nel Regno Unito. Stessa cifra che coinvolgerà il ramo australiano, costretto a mandare a casa un terzo del totale dei lavoratori.

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