Formula 1

Formula 1: chi è l’Aramco, il nuovo brand presente su tutti i circuiti

Si chiama Aramco e il suo marchio è ben evidente su tutti circuiti che fino a oggi, Spielberg, Buapest e Silverstone, hanno ospitato il nuovo campionato di Formula 1.

Il marchio Aramco a bordo pista in Australia (Foto F1)

Ma pochi conoscono questo marchio e le sue immense potenzialità. Aramco è un’azienda saudita con interessi giganteschi nel settore petrolifero ma anche nel mondo di costruzioni e infrastrutture.

Cos’è l’Aramco, nuovo salvadanaio della Formula 1

In Formula 1 la Saudi Aramco si unisce a marchi storici come DHL, Emirates, Heineken, Pirelli e Rolex e diventa uno dei sei main sponsor del campionato, quelli che sobbarcandosi la maggior parte degli investimenti pubblicitari, hanno diritto agli spazi con maggiore visibilità sui circuiti e ad accordi esclusivi. L’interesse dell’Aramco per la Formula 1 si era manifestato già due anni fa, ma si è concretizzato con un accordo solo a marzo, nel bel mezzo della pandemia e quando il calendario era ancora ipotetico. Una bella iniezione di fiducia per tutto il campionato. Tanto che gli analisti oggi sostengono che sia stato proprio l’intervento dell’Aramco a salvare la stagione.

La Saudi Aramco è un colosso poco noto nel nostro paese che fattura poco meno di 400 miliardi di dollari all’anno. Per diversi anni è stata considerata la compagnia global più ricca del mondo: oggi questo ruolo è conteso dalla Apple che proprio in questi giorni per valore di azioni e proprietà immobiliari avrebbe scavalcato la Aramco diventando la società più ricca del mondo. Dalle strategie della Aramco dipendono molte cose della nostra vita di tutti i giorni: a cominciare dal prezzo della benzina. È stato proprio il potentissimo presidente e amministratore delegato della compagnia Amin H. Naseer a volere mantenere un prezzo popolare del combustibile investendo molte risorse nell’estrazione e nello stoccaggio delle riserve in eccesso.

Il president della Aramco Amin Nasser (Getty Images)

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Petrolio e diritti umani

Nata nel 1933, l’Aramco era inizialmente una sorta di fiduciaria araba della Standard Oil, la società californiana fondata da Rockfeller, che aveva la maggior parte delle concessioni per le estrazioni in Arabia. Poi a poco a poco i sauditi hanno cominciato a estromettere gli americani e a gestire personalmente il business. Oggi il loro giro d’affari sfiora i due triliardi di dollari all’anno. Il loro impegno in Formula 1 sarà di dieci anni e vale circa 50 milioni di dollari all’anno (cifre ufficiose).

Tuttavia il marchio Aramco non è così semplice da presentare al mondo soprattutto in un evento popolare come la Formula 1. Non è un mistero che la compagnia sostenga il governo saudita la cui posizione sotto l’aspetto dei diritti umani, nei confronti delle donne e delle minoranze etniche e religiose, è tutt’altro che morbida. Il tutto proprio nel bel mezzo della campagna ‘end racism’ della quale la Formula 1 si è fatta carico.

Qualche tempo fa l’Aramco aveva deciso di investire pesantemente nel calcio inglese e aveva presentato un progetto formidabile (374 milioni di euro) per acquistare il Newcastle United. La dirigenza del club bianconero, pur indebitata fino al collo, prese tempo ed espresse le sue perplessità anche alla Premier League che di fatto ha posto un veto sulla transazione. Il club è rimasto al vecchio proprietario Mike Ashley e la Aramco si è fatta da parte dicendosi “non più interessata all’investimento” cosa che ha mandato su tutte le furie i tifosi che in questi gorni hanno raccolto 60mila firme di protesta contro la Premier League.

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(Foto F1)

 

Stefano Benzi

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