Su Genova piove per quasi tutto il giorno poi, pochi minuti prima dell’inaugurazione spunta sulla Lanterna e sul nuovo ponte San Giorgio un meraviglioso arcobaleno.
Non esiste Levante senza Ponente, non esiste Ponente senza Levante. Ed è inutile spiegarlo a una persona che non ha mai vissuto a Genova e che non sa che cosa sia Genova. Il dramma del crollo di ponte Morandi è stata un’altra delle terribili ferite che si sono accumulate nel corso degli anni in questa citta che ne ha vissute e passate davvero di tutti i colori. Basta dare una rapida occhiata alle notizie di cronaca per capire che Genova ha pagato come poche altre città italiane un tributo enorme, insopportabile, a incuria, disattenzioni, tragedie evitabili. Innumerevoli alluvioni, il crollo della torre di controllo del porto, l’esplosione di una petroliera nel porto di Multedo, l’incendio dell’Attilio Carmagnani, l’affondamento della Haven. E si potrebbe andare avanti. Si ricorda tutto, anche quello che si vorrebbe preferire dimenticare.
Ma il crollo del vecchio ponte Morandi è stato qualcosa di davvero troppo grave, di devastante per una città che all’improvviso si è trovata non soltanto con 43 vittime da piangere ma con una crisi insopportabile da sostenere. Una città divisa, con enormi problemi di viabilità, con tutte le attività del porto e della logistica completamente paralizzate. Ci sono volute diverse settimane per riuscire a elaborare un progetto che fosse sostenibile e c’è voluta la capacità e la buona volontà di alcune persone che hanno letteralmente deciso di prendersi sulle spalle il problema e risolverlo. Dal commissario straordinario, Bucci all’architetto Renzo Piano, sempre più uomo simbolo di questo miracolo.
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L’intervento più applaudito è stato proprio quello di Renzo Piano: “Spero che la gente voglia bene a questo ponte, che lo accolga, che lo adotti perché non è soltanto il simbolo di un grande sacrificio e di tanto lavoro ma è la auspicio di un futuro migliore e diverso per tutti”.
Se il ponte Morandi, progettato negli anni ’50, rappresentava il progetto del boom industriale nel quale Genova, che all’epoca era la terza città italiana con oltre un milione di abitanti, giocava un ruolo decisivo, il nuovo Ponte San Giorgio rappresenta un segnale di speranza per una città che nel corso degli ultimi 50 anni ha subito una drammatica involuzione industriale e una terribile emorragia di cittadini e di attività industriali. Il crollo del Ponte Morandi ha letteralmente affossato l’attività industriale che si trovava in tutta la zona della bassa Val Polcevera esodando migliaia di persone in un quartiere che era stato improvvisato sotto le sue campate. La città, per mesi, è stata devastata da problemi logistici e di collegamento. Ma in qualche modo, non si sa nemmeno come, ha resistito. E ora prova a pensare di potere cominciare.
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Il simbolo dell’arcobaleno che battezza, insieme alle parole del cardinale arcivescovo di Genova Marco Tasca e a quelle istituzionali del presidente del consiglio Conte, si sposa con l’immagine più forte. Quella dei tre passaggi delle Frecce Tricolori che ancora una volta hanno voluto testimoniare la vicinanza del paese a una città colpita nel profondo ma dignitosamente in piedi. Non è stata una festa non c’è stato frastuono. Persino le sirene del porto che avevano salutato con tristezza la morte delle 43 vittime nel giorno del lutto, sono risuonate per pochi secondi con forza e rigore ricordando che Genova riparte di lì, dal suo porto, che ora con questo nuovo ponte potrà finalmente tornare a lavorare a pieno regime.
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Il giusto spazio anche per la soddisfazione di chi si è preso la responsabilità di riunire le molte anime di una città spesso divisa, molte volte spaccata, raramente in accordo. Il commissario alla ricostruzione Marco Bucci sindaco di Genova, ha avuto un pensiero per tutti: “Siamo riusciti a fare quello che abbiamo promesso 18 mesi fa. Il primo pensiero va alle 43 vittime e alle loro famiglie che sono quelle che soffrono di più. Quello che è successo non deve accadere più. Genova non dimenticherà questa tragedia. Il secondo pensiero va ai cittadini di Genova. C’è chi ha perso il lavoro, chi ha perso i clienti. Oggi regaliamo il ponte alla città di Genova. Il terzo pensiero va a tutti quelli che hanno lavorato, alle 1200 persone che hanno sudato e che si sono fermati solo a Natale e solo in alcuni giorni di allerta rossa. Hanno dovuto affrontare numerose difficoltà, compreso un commissario che urla. Un grazie anche a Renzo Piano che ha regalato il progetto, il progetto di una nave che è artraccata tra le colline della Valpolcevera”.
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L’arcobaleno si spegne, insieme alle tracce tricolori degli Aermacchi 339 delle Frecce, che dedicano un ultimo lento passaggio radente battendo le ali. È il modo che usano i piloti per complimentarsi, per battere le mani. Questa città definita per secoli Superba oggi scopre di essere soprattutto umile e dignitosa. Le tragedie non si archiviano, non si dimenticano. E non è un caso che per l’inaugurazione sia stata scelta una delle tante canzoni nate a Genova da una scuola musicale immensa. Forse la canzone più genovese in assoluto, “Crêuza de mä” scritta da Fabrizio De André (con l’accento acuto sulla é, per carità) per spiegare come i genovesi siano uomini di mare loro malgrado, più legati alla terra che alle barche. E che questa crêuza, questa mulattiera di mare, di acciaio e asfalto lunga 1067 metri, riunisce ancora una volta una città difficilissima da spiegare e raccontare, e forse da vivere. Ma proprio per questo unica. E indivisibile.
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