Willy T. Ribbs citava Mohammed Alì come in pastore mormone chiama in causa a memoria la Bibbia, non abbassava lo sguardo e si poneva di fronte a chiunque con gli occhi di chi ogni giorno vive una sfida.
Venticinque anni fa Willy T. Ribbs era un grande pilota capace di arrivare fino alla Formula 1. Un’impresa sensazionale perché anche lui, come il grande Arthur Ashe, capace di misurarsi con tutti i più grandi sul campo da tennis, era afroamericano. Dichiarazione che oggi lo fa sorridere…
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Ribbs, parole come pugni
Il politically correct non è per lui… “Mi piace dire, come diceva Mohammed Alì, che anche le mie parole sono piene di pugni. Venticinque anni fa non si diceva americano. Nella migliore delle ipotesi ero di colore, quasi sempre ero un nero americano. Le cose me le sono dovute conquistare sul campo e in qualche caso ho dovuto anche pretenderle. Ma il rispetto non te lo regala nessuno”.
Ribbs ha iniziato a correre giovanissimo ed era incredibilmente veloce. Ma il pregiudizio era molto forte: “Mia madre è stata la prima a dire che ero venticinque anni in anticipo – spiega il pilota intervistato dalla CNN – ma mi piace pensare che senza quello che ho fatto oggi persone come Lewis Hamilton o Bubba Wallace forse non avrebbero la stessa attenzione. Sono piloti straordinari, velocissimi: ma avrei voluto vederli ai miei tempi”.
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Ribbs: “Volevo solo essere un grande pilota”
“Io volevo essere come i grandi piloti, volevo correre in Formula 1. Ci sono andato molto vicino e mi sono dovuto accontentare solo di alcuni test su pista ma per me era già un grandissimo risultat. Sono stato il primo afroamericano a provare una F1 e a gareggiare in Indy 500. Mio padre, un pilota di auto sportive amatoriali, mi ha sempre detto che le cose me le sarei dovute prendere prima che qualcuno me decidesse di darmele”.
Il suo mentore è stato Emerson Fittipaldi che quando lo vide in pista decise di spingere la sua candidatura fino alla NASCAR. Ma la sua prima volta in pista fu quasi uno shock: “Se non altro furono chiari – ricorda oggi Willy T. Ribbs – a Talladega in Alabama (la stessa pista dove qualche giorno fa è comparso un cappio indirizzato a Bubba Wallace n.d.r.) mi affrontarono e mi dissero che non mi volevano, che questo non era il mio sport, che avrei dovuto giocare a basket o a football. Ho ricevuto tante minacce di morte, davvero tante. Dirette a me e alla mia famiglia ma non me ne è mai fregato niente. Anzi… sotto un certo aspetto l’ho considerata una cosa quasi eccitante. A qualche minaccia ho anche risposto… ‘sparate voi per primi’. Ma non mi sparò nessuno”.
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Il primo afroamericano su una Formula 1
Ribbs era un pilota molto aggressivo, veloce ed estremamente battagliero: “Qualcuno dava per scontato che sarebbe stato bello vedermi dieci o dodici posizioni più dietro, ma questo non succedeva. E la cosa mi gasava moltissimo. Da Mohammed Alì ho imparato la capacità di incassare i colpi, la determinazione”.
Ribbs ha vinto diciassette volte in Trans-Am tra 1983 e 1985. Poi, spinto dal grande promoter di pugilato Don King, fece il suo primo tentativo di qualificarsi per la Indy 500. Fu fermato da problemi meccanici. Qualche giorno dopo Bernie Ecclestone che era proprietario della Brabham gli fece provare una vettura di Formula 1. Ecclestone aveva capito che l’ambiente delle corse aveva bisogno di una scossa e di una dimostrazione: “Era la Brabham sponsorizzata dalla Olivetti – spiega Ribbs – e la Olivetti voleva due piloti italiani. Nel 1986 furono ingaggiati Riccardo Patrese ed Elio de Angelies e io rimasi a piedi ma avevo comunque sfondato una porta importanti. Tutto sommato non pensavo ci sarebbero voluto altri ventuno anni per vedere un pilota afroamericano in Formula 1”.
Nel 1991 riesce a qualificarsi per la Indy 500 diventando il primo pilota afroamericano a farlo. Purtroppo la sua gara dura solo cinque giri a causa di un altro problema meccanico. Ma due anni dopo ci riprova e stavolta completa tutta la corsa… duecento giri.
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Black Lives Matter: nonostante tutto
Dopo tanta storia e tante conquiste sembra impossibile che oggi le auto da corsa debbano portare i colori di Black Lives Matter per rivendicare cose che dovrebbero essere scontate: “Trovo che sia tutto molto ipocrita – conclude Ribbs che come al solito usa parole come pugni anche da semplice commentatore e osservatore esterno – quando la NASCAR decide di mettere al bando le bandiere confederate è davvero sincera? Se George Floyd fosse vivo quelle bandiere sarebbero ancora tra il pubblico. Ecco perché dico che tutto quello che è stato fatto è comunque poco e che c’è molto altro da fare”.
Lewis Hamilton gli piace: “È un uomo del suo tempo che sta cogliendo grandi opportunità che gli sono state concesse. Ma nel momento in cui c’è discussione dobbiamo fermarci a pensare ammettendo che ci sarà sempre qualcuno che non accetta l’afroamericano, proprio come ci sono molte persone che non accetteranno mai Lewis come un vincente. Ma di fatto è paura, parliamo di codardi e di stupidi. Un uomo è un uomo. Non lo giudichi dal suo accento e nemmeno dal colore della pelle”.