Sono molte ancora le incertezze che circondano il nuovo Ponte di Genova, l’ex Viadotto Morandi. Perché tutti lo chiamano ancora così, dal nome dell’architetto che lo costruì più di cinquant’anni fa. Una cosa è certa, il ponte cambierà nome. Ma non è dato sapere quale.
Manca sempre meno tempo all’inaugurazione della struttura. Stando alle indiscrezioni che arrivano dal Comune di Genova – il sindaco Marco Bucci è anche il commissario che ha concretizzato un’operazione a dir poco miracolosa con la ricostruzione della struttura – la data del taglio del nastro dovrebbe essere ufficializzata a breve. Potrebbe essere il 1 agosto…
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Ponte di Genova, il nome di Renzo Piano
Ma tutto è ancora da definire e siamo comunque abbondantemente in anticipo rispetto ai due anni dal tragico crollo del 14 agosto 2018. Alla fine, per una volta, gli amministratori sono stati di parola. Avevano detto, su garanzia dell’architetto Renzo Piano, che il ponte sarebbe stato ricostruito in due anni e in effetti è andata esattamente così.
Proprio Renzo Piano è la figura centrale intorno alla ricostruzione del ponte. L’architetto genovese, che alla sua città ha già dedicato un’altra grande opera di ricostruzione, quella del Porto Antico inaugurato in occasione delle celebrazioni colombiane del 1992 e che, tra le altre cose, ospita anche l’Acquario, non ha mai voluto commentare l’ipotesi che il ponte possa portare proprio il suo nome. E dunque Ponte Renzo Piano. Tuttavia, quando gli è stata fatta questa domanda, in modo molto diretto, anche in occasione dell’alzata dell’ultima campata, l’architetto si era limitato a un sorriso e a non commentare…
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Il mito di San Giorgio
Il sindaco Marco Bucci, dal canto suo, ha sempre ipotizzato che l’idea più bella fosse quella di dedicare il ponte a San Giorgio, il patrono della città. I genovesi sono estremamente devoti a San Giorgio cui dedicano il 23 aprile, la festa della bandiera bianco-crociata. San Giorgio compare sulle prime monete battute dalla repubblica marinara. Il Banco di San Giorgio, pochi lo sanno, è stata prima istituzione bancaria del mondo: la sua vecchia sede c’è ancora, è Palazzo San Giorgio, per anni sede dell’Autonomia Portuale. In Piazza della Raibetta, proprio davanti al Porto Antico, a pochi passi da Caricamento. Ma d’altronde pochi sanno anche che il termine jeans deriva da Genova. Blue-jeans, significa ‘Blu Di Genova’. Era la tela con la quale venivano confezionate le tute degli scaricatori. “Se Genova avesse preso una lira per ogni capo di jeans venduto nel mondo sarebbe la città più ricca in assoluto….” aveva detto una volta il grande Gilberto Govi: “E invece siamo misci sparati”… che in genovese significa essere poveri in canna.
La croce di San Giorgio è la stessa che compare sulla bandiera dell’Inghilterra.
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Una bandiera onnipresente
D’altronde Genova è la città più inglese d’Italia: ed è legatissima a Londra. La bandiera di Genova è nata molto prima che nascesse quella dell’Inghilterra che è parte integrante della Union Jack ed è presente quasi ovunque in città. Non solo perché fa parte della comunicazione istituzionale degli enti della città metropolitana e delle aziende genovesi più grandi ma anche perché è estremamente amata. Basti pensare che è l’unico elemento in comune tra le due anime sportive della città, il Genoa e la Sampdoria che condividono la bandiera di San Giorgio e ben poco altro.
Tuttavia, l’idea di tirare in ballo il patrono della città non sembra convincere tutti. Anche se le idee di Marco Bucci sono sempre state ampiamente condivise dalla città. La sua riconferma a Palazzo Tursi è data per scontata, sarà un plebiscito. Anche questa è una notevole sterzata per una città che è sempre stata fortemente di sinistra e che per tutto il dopoguerra ha privilegiato amministratori che nel vecchio pentapartito o nelle più recenti coalizioni di sinistra arrivavano dai sindacati o dal partito democratico. Quella stessa città oggi considera un eroe locale un uomo politico da sempre indipendente ma comunque schierato con il centro destra.
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Ma il Ponte di Genova è o no un viadotto?
Le altre opzioni che riguardano il nome del ponte portano, quasi sempre, al lutto del 14 agosto di due anni fa. Molte le proposte che vogliono la struttura dedicata alle 43 vittime: Ponte 43 vittime, Angeli del 14 luglio. Ma sono stati proposti anche Ponte Libertà, Ponte della Rinascita, Ponte della Ricostruzione.
Uno dei dibattiti più interessanti in questi giorni riguarda anche la definizione stessa della struttura. Si tratta davvero di un ponte? In effetti no… L’ha detto anche lo stesso Renzo Piano sottolineando il fatto che, fin dal primo progetto dell’architetto Morandi, si era parlato di viadotto. É troppo lungo, troppo alto, troppo esteso per essere considerato un semplice ponte. Si tratta di un viadotto che collega due lembi, molto lontani, della stessa vallata. Quella del torrente Polcevera.
I genovesi, da sempre, hanno chiamato il Ponte Morandi “Viadotto Polcevera”. Negli anni ’60 era “il Condotte”; perché la scritta dell’azienda che esegiì scavi e costruzione campeggiava sopra i punti più alti della struttura. Scomparve con gli anni. Paradossalmente è stato più conosciuto come Ponte Morandi solo dopo il suo crollo. Anche se negli ultimi anni molti lo avevano ribattezzato San Vito, per il modo in cui la struttura traballava al passaggio dei mezzi pesanti. Si era detto che quel rollio fosse normale data l’elasticità della struttura ma quel crollo, secondo molti, era stato annunciato a più riprese da tremolii e calcinacci. E dunque chiamarlo semplicemente Viadotto Polcevera?
Potrebbe essere un’alternativa anche perché la vallata che si trova tra Cornigliano e Sampierdarena, tra le acciaierie e il porto mercantile, una grandissima spianata fatta di piccole attività artigiane, capannoni di spedizionieri, aziende di logistica e piccole fabbriche oltre a tanti centri commerciali, ha bisogno di un rilancio e forse anche di una nuova identità.