Due nuove sentenze della Corte di Cassazione sono intervenute per ulteriormente specificare vizi in grado di annullare una multa comminata per eccesso di velocità rilevato tramite autovelox.
Le multe per eccesso di velocità, purtroppo, sono tra le più frequentemente comminate. La materia, pertanto, data la singolarità di ogni caso è grandemente frammentaria. La Corte di Cassazione, di riflesso, si esprime spesso per dirimere questioni sui contenziosi sorti tra automobilisti e pubblica amministrazione.
È proprio quanto accaduto attraverso due recentissime pronunce, l’ordinanza n. 11776/2020 e la n. 11792/2020 attraverso cui gli Ermellini hanno precisato due importanti aspetti che spesso hanno diviso i giudici di merito. L’indicazione nel verbale della taratura dell’autovelox e della presenza di segnaletica.
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In primo luogo, e questa era cosa nota, affinché una multa per eccesso di velocità comminata tramite rilevazione con autovelox sia valida è necessario che l’apparecchio sia tarato e che possegga un certificato di collaudo. Quest’ultimo accompagna il dispositivo non appena uscito dalla fabbrica e ne attesta la funzionalità. Quanto alla taratura, invece, è un’operazione di verifica che deve essere effettuata periodicamente, con precisione una volta l’anno.
In assenza di tali due requisiti la multa sarà nulla. La Cassazione ha più volte ribadito che non spetta all’automobilista, in caso di contestazione, apprendere se l’autovelox a mezzo del quale ha ricevuto la sanzione era stato sottoposto a taratura. È invece onere dell’autorità notificante indicare nel verbale che l’operazione fosse stata effettuata.
Con la recente ordinanza n. 11776/2020 invece, la Suprema Corte amplia le tutele nei confronti del cittadino. La mera annotazione che l’apparecchio è stato “debitamente omologato e revisionato” non esclude che il sanzionato possa comunque vantare il diritto di richiedere il certificato in caso di contestazione. Solo l’originale di tale documento comproverà l’effettivo funzionamento dell’autovelox e non, quindi, la dichiarazione dell’agente.
Altro elemento come anticipato in premessa, riguarda la necessarietà dell’installazione di un cartello che indichi la presenza dell’apparecchio di rilevazione della velocità. Stando a quanto stabilito dal Codice della Strada, ci sono delle misurazioni da rispettare. La segnaletica, infatti, non può distare più di 4km dall’apparecchio. Ciò possiede una sua logica: evitare che l’automobilista per timore di incappare in una multa compia manovre di frenata avventate che mettano a rischio la sua e quella di altri incolumità. L’autovelox, poi, non deve essere camuffato ma essere ben visibile. Nel verbale, rispettato il presupposto della presenza del cartello, andranno indicato tutti i fattori che hanno fatto scattare la sanzione.
Ed è qui che interviene con la seconda ordinanza la Corte di Cassazione. A mezzo dell’ordinanza n. 11792/2020 gli Ermellini hanno precisato che non sussiste l’obbligo di specificare all’interno del verbale quale segnaletica fosse presente sulla strada. L’importante è che vi fosse e che soprattutto fosse idonea e conforme ai parametri di legge.
Con tale convincimento, la Cassazione smonta l’idea che il verbale debba riportare per filo e per segno tutto il contesto. Anzi, la multa non sarà nulla se mancano indicazioni, nel caso di specie, riguardante la segnaletica se questa era correttamente apposta.
In chiosa gli Ermellini specificano, che la mancata menzione in verbale non fa venir meno quella che è una circostanza oggettiva la quale sarà certificata da pubblici ufficiali. Da ciò deriva che qualora l’automobilista voglia opporsi a quanto da essi dichiarato potrà farlo solo proponendo una querela di falso. Unico mezzo per impugnare un qualcosa di dichiarato dalle autorità.
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