Un’edizione speciale di playlist dedicata a un’artista straordinario prematuramente scomparso, Chris Cornell. Con i Temple of The Dog, i Soundgarden, gli Audioslave e in una straordinaria e poco conosciuta carriera di album solisti, il cantante ha avuto quattro vite artistiche ben distinte e di altissimo livello.
“Con il cuore di Chris Cornell si è fermato anche quello di tre generazioni di musicisti e di fan”. Sono le parole con le quali Tom Morello, il chitarrista di Rage Against the Machine e Audioslave, pronuncia l’elogio funebre del suo amico e collega. Cornell, scomparso a soli 52 anni in circostanze tragiche mai completamente chiarite, ha avuto il merito di sapere dare voce e pensiero a quattro progetti di grande spessore, molto diversi l’uno dall’altro.
Una voce unica e inconfondibile nel panorama rock, ma soprattutto la grande capacità di scrivere canzoni con una vera impronta personale, manifesti di grande qualità creativa. Giudicato il migliore cantante rock della storia da Guitar World, Cornell aveva una voce unica nel suo genere, di grande ampiezza e potenza. Ma la sua vera forza erano i testi, che ancora oggi sono oggetto di studio e di approfondimento da parte di studiosi, letterati e sociologi.
Nel 1984 Chris Cornell (all’anagrafe Christofer Boyle) è un giovane inquieto e perennemente in difficoltà. È cresciuto in una famiglia borghese di Seattle ma soffre di depressione, attacchi ansia e agorafobia. Nel tentativo di limitare gli attacchi di panico tenta ogni genere di sostanza lecita e illecita. A vent’anni lavora come aiuto cuoco e quando può suona con una band molto mediocre, The Shempes. Da qui nascono i Soundgarden, cinque musicisti raffinati e tecnici ma dai suoni ruvidissimi e con una vita da disadattati in una delle città più difficile degli Stati Uniti, Seattle.
La combustione che porterà in pochi anni alla creazione del grunge nasce in quegli anni. Dopo un EP e due dischi a basso costo, i Soundgarden incidono un capolavoro “Badmotorfinger” che li consacra all’attenzione internazionali portandoli al festival Loollapalooza insieme a Red Hot Chili Peppers e Nirvana. Ad aprire l’album “Rusty Cage”, la gabbia arrugginita di Chris Cornell che rappresenta i limiti della depressione che lo aveva fortemente condizionato da ragazzo. ‘Romperò questa gabbia arrugginita e scapperò, dice il brano che si apre con un suono di chitarra stranissimo che sembra arrivare da un altro mondo. “Abbiamo lavorato molto per far suonare la chitarra esattamente come Chris la sentiva nella sua testa e solo molti anni dopo ci siamo resi conto che quel riff era stato copiato da due o tre jingle pubblicitari e da un’azienda di telefonini che lo usava come suoneria” dice oggi il chitarrista Kim Thayl.
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È il 1991 quando Chris Cornell, a soli venticinque anni, sente di doversi prendere una pausa e si mette fortemente in discussione. I Soundgarden con soli tre album sono riusciti a suscitare il grande interesse delle major e vengono messi al centro di un’asta per album e concerti. Il gruppo si divide tra chi vedeva il contratto con le grandi casi discografiche come un’opportunità e chi invece interpretava questo passaggio come una svendita. Cornell si unisce all’amico di sempre, Eddie Vedder, che stava vivendo il suo stesso identico travaglio con i suoi Pearl Jam, e crea i Temple of the Dog.
Un progetto parallelo che doveva essere una valvola di sfogo: “Durante una serata insieme, avevamo mangiato fuori e bevuto parecchio – racconta Cornell – io ed Eddie ci interroghiamo sulla purezza dei nostri sentimenti artistici. Rischiavamo davvero di venderci all’industria del rock? In due ore scrissi una canzone che si intitola “Hunger strike”. Lo sciopero della fame incarna le due anime delle nostre band e il contrasto delle nostre voci – la sua cupa la mia acutissima – le fonde. È il nostro patto d’acciaio: nessuno di noi farà mai le cose per soldi, nessuno di noi venderà mai la nostra arte per il solo gusto del denaro. Tutto dovrà servire per qualcosa di più alto”.
“Le parole scritte da Chris mi sono rimaste dentro per molti anni, ho fatto mia quella canzone, l’ho suonata spesso con i Pearl Jam e anche in versione acustica per conto mio. È il mio manifesto anche se non l’ho scritta io, è qualcosa che Chris Cornell ha scritto per chi ha di fronte a se qualcosa di più grande di un conto in banca da riempire e io sarà in debito con lui per tutta la vita”.
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Con l’interruzione del progetto creativo dei Soundgarden quando la band era arrivata all’apice del suo successo, Cornell accetta una nuova sfida. Si unisce ai tre Rage Against the Machine rimasti senza cantante e al produttore Rick Rubin e fonda gli Audioslave. Una band dal suono dirompente e corrosivo che non aveva le rime di Zack de la Rocha a dare spessore ai concetti ma la voce e i testi di Chris Cornell. L’impatto è devastante: il primo singolo “Cochise” è un calcio alla bocca dello stomaco di un mondo che in quel momento sembrava più attento a ballare e festeggiare che a pensare. Il rock stava vivendo un momento di stasi e gli Audioslave gli danno una scarica di adrenalina in pieno petto. In “Show me how to live” Cornell si rivolge a un padre.
Solo dopo molti anni rivelerà che quel padre è Dio: “Sono cresciuto in una famiglia cattolica, mia madre di origine irlandese era molto credente. Ho sempre pensato che uno dei grandi problemi delle famiglie di oggi è che i genitori ti danno la vita ma spesso non ti garantiscono gli strumenti per vivere… per strumenti non intendo i soldi o i mezzi ma la conoscenza, l’esperienza tra i quali la capacità di analizzare gli errori. Per questo dico a chi mi ha creato… ora che mi hai dato la vita, mostrami come si vive”.
Il video viene censurato da MTV ma diventa il più popolare in assoluto della band: il gruppo attraversa il deserto con una Dodge Challenger forzando posti di blocco ed evitando i controlli di polizia. Per poi schiantarsi ed esplodere contro due bulldozer che gli sbarravano la strada.
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Paradossalmente, nel momento in cui Cornell è riuscito a placare molti dei demoni che gli avevano rovinato la vita, il cantante scrive la parola fine alla. In modo apparentemente inspiegabile.
Si era ricostruito una vita sentimentale. Ha una moglie, due figli ancora piccoli, un disco che sta avendo un grandissimo successo (“Higher Truth”, un vero capolavoro) ed è riconosciuto ovunque per il suo talento. Non ha nemmeno più bisogno delle band: affronta il pubblico che agli inizi lo terrorizzava da solo, lui e le sue chitarre. E invece dopo uno show con i Soundarden si impicca sconvolto da un’ennesima crisi di panico, subita da solo in albergo. Assume molti farmaci che gli erano stati regolarmente prescritti per aiutare il sonno e calmare il mal di schiena. È agitato, chiama la moglie che cerca di calmarlo.
Ma stavolta la paranoia è più forte e quei fantasmi che lo avevano tormentato lo distraggono definitivamente dalla vita e dalla sua arte. Aveva appena suonato con i Soundgarden e programmava un nuovo tour solista. Poche settimane prima aveva suonato in acustico agli Arcimboldi, a Milano. Un grande successo.
Una delle sue canzoni più belle e meno conosciute è “The Keeper” che Cornell spiega così: “Ho sempre sognato di dare sicurezza alle persone cui volevo bene. Ai miei figli, alle mie compagne, ai fan che ascoltavano i miei testi e cercavano tra le righe una risposta alle proprie difficoltà. Mi sarebbe piaciuto essere un guardiano affidabile, uno di quelli che deve far sì che il fuoco non si spenga per tutta la notte. Non sempre ci sono riuscito. In The Keeper parlo di un uomo la cui storia mi aveva molto colpito: non di me. Io non sono un profeta, sono uno che può raccontare la vita degli altri ma non posso porre la mia vita a esempio. Ho commesso molti errori. Il primo è stato quello di sottovalutarmi e di mettermi sempre troppo sotto esame. Sono un uomo, con tanti difetti e qualche talento nel raccontarli”.
L’uomo di cui Chris Cornell canta in “The Keeper” è Sam Childers, un trafficante d’armi che si concerte. A bordo dei suoi camion per il contrabbando salverà centinaia di bambini portandoli via dal Sudan devastato dalla guerra civile. Il brano viene inserito nella colonna sonora di “Machine Gun Preacher”, il film biografico sulla vita di Childers.
Il brano qui viene eseguito live al David Letterman Show.
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