Acquistare un auto che si conosce essere stata rubata costituisce reato, ma quando l’acquisto è in buona fede? La legge sul punto è molto chiara.
Ormai l’e-commerce fa parte della vita quotidiana di ognuno. Acquistare su internet è quasi una prassi per le nuove generazioni ed ha iniziato a divenire di uso frequente anche tra i meno giovani. On-line è possibile acquistare qualsiasi cosa anche le auto che tramite annunci su siti e piattaforme note divengono oggetto di compravendita anche a distanza. Molto spesso grazie ai prezzi davvero stracciati.
Eppure prima di farsi abbagliare dalla straordinaria convenienza, regola che sia chiaro vale anche per gli acquisti effettuati in presenza, bisognerebbe indagare bene. È possibile, infatti, che dietro si celi un’insidia non di poco conto, ossia che il veicolo sia rubata. Ora, se si è consapevoli che l’auto è il provento di un reato, la legge non perdona chi l’acquista. Ma cosa accade se non si è a conoscenza di questa circostanza? Anche qui il legislatore non lascia margine di discrezionalità.
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È un’ipotesi non tanto remota quella di incappare nella compravendita di un’auto usata che è giunta sul mercato del second-hand dopo essere stata rubata. Accade infatti che malviventi incalliti e ben organizzati con la fitta rete della malavita, sottraggano ai legittimi proprietari le proprie vetture, cambino il numero del telaio e poi si adoperino per targare la macchina con sigle straniere. Capita poi che lancino annunci di vendita a prezzi straordinariamente bassi e che qualcuno ammaliato cada nel tranello.
Cosa accade all’acquirente in questo caso? Secondo il codice penale italiano le ipotesi che possono delinearsi sono due. Le autorità potranno muovere l’accusa di ricettazione o di cosiddetto incauto acquisto.
La prima è una fattispecie di reato contemplata all’interno del codice penale all’art. 648, nominato appunto “ricettazione“. Le autorità potranno muovere tale accusa all’acquirente qualora ricorrano precisi elementi. In primo luogo fuori dai casi di concorso con il reato presupposto (ossia chi ha acquistato il bene oggetto non può aver partecipato al reato commesso per ottenerlo). In secondo luogo che l’acquisto sia avvenuto con la consapevolezza che l’oggetto era provento di reato.
La pena è severa: si parla di reclusione da 2 ad 8 anni ed una multa da 516 a 10.329 euro. Aggravata poi la sanzione se il reato commesso per impossessarsi del bene è una rapina aggravata, un’estorsione aggravata o un furto aggravato.
Nel secondo caso, invece, ossia quello dell’incauto acquisto, seppur meno grave rispetto alla ricettazione, non vi è un’esenzione di responsabilità, ma il riconoscimento di una colpa minore. Ed infatti, se l’acquirente non era a conoscenza della circostanza che il veicolo era frutto di reato, ma sussistevano delle circostanze che avrebbero dovuto indurlo a contemplare tale possibilità (si pensi al prezzo stracciato) risponderà del reato di cui all’art. 712 del Codice Penale.
È proprio la consapevolezza a tracciare il discrimine tra la ricettazione e l’incauto acquisto: nel primo caso, per il suo configurarsi, è necessario il dolo mentre nel secondo viene chiamata in causa la colpa. Il rimprovero mosso dal legislatore è dunque la negligenza dell’acquirente che a fronte di determinate evidenze avrebbe dovuto meglio indagare sulla provenienza del bene.
Qualora l’autorità procedente dovesse ravvisare gli estremi per l’imputazione del reato di cui all’art.712 e l’organo giudicante avallare l’accusa, il soggetto rischia la reclusione fino a 6 mesi ed un’ammenda non inferiore a dieci euro.
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