Settant’anni fa, il 13 maggio 1950, si disputava il primo gran premio del primo Campionato del Mondo di Formula 1. A Silverstone si correva il GP d’Europa.
C’erano anche Re Giorgio VI e la Regina Elisabetta a Silverstone, il vecchio aeroporto militare del Northamptonshire. Qui il 13 maggio 1950 è ufficialmente nata la Formula 1 moderna. Si correva il Gran Premio d’Europa, e l’anniversario che cade nell’anno della Brexit ha qualcosa di particolare.
Come è particolare quel primo gran premio, un inizio che non è proprio inizio non è. Perché le auto di Formula 1, a ruote scoperte con motore da 1500 cc sovralimentato o 4500 cc aspirato, nel 1950 partecipano a 22 corse. Ma solo sette fanno parte del primo Campionato del mondo: sei in Europa (Silverstone, Montecarlo, Berna, Spa, Reims e Monza), più la 500 Miglia di Indianapolis.
Enzo Ferrari non manda le sue vetture in Inghilterra, preferisce dedicarsi a una gara di Formula 2 in Belgio a Mons. Così, sullo storico circuito nella campagna inglese, di fronte a un numero di spettatori che nei racconti della stampa dell’epoca oscilla tra 100 e 200 mila, in prima fila ci sono solo le Alfa Romeo.
Si parte in quattro in prima fila, con le monoposto dalla caratteristica forma a cuneo. Quel giorno ci sono le Alfa Romeo di Nino Farina, Luigi Fagioli che ha già più di cinquant’anni, Juan Manuel Fangio e Reg Parnell. A parte il ritiro di Fangio, uscito troppo presto dal rifornimento ai box senza che i meccanici potessero riempire il serbatoio dell’olio, le Alfa Romeo dominano la scena per tutta la gara.
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Farina trionfa di fronte a un pubblico festante e sorride sotto l’enorme corona di alloro riservata al vincitore. Farina, specialista dei circuiti veloci, diventerà il primo campione del mondo della Formula 1. Vince tre gare, come Fangio, e lo batte di tre punti, 30 contro 27. Decisivo il successo a Monza, visto il ritiro di Fangio tradito prima dalla sua vettura poi da quella di Taruffi su cui è salito. All’epoca, infatti, si può prendere il posto di un compagno sulla sua macchina.
Non è solo questo a rendere quella Formula 1 in bianco e nero diversa da quella che conosciamo oggi. Ci sono i piloti con le tute leggere, con i caschi non integrali e gli occhialoni. Quella Formula 1 non è uno sport per giovani, ma per piloti esperti che hanno imparato dalle corse e dalla vita a rubare ogni centimetro al destino, a quella vecchia signora che ti aspetta e che ti insegue anche fino a Samarcanda. Si viaggia a meno di 200 chilometri orari, che sembrano pochi per gli standard di oggi ma sono anche troppi per quelle monoposto dai nomi da museo, che lasciano i piloti completamente scoperti ai lati e sopra le spalle.
E’ una Formula 1 per pionieri, anche se in quella prima gara del Campionato del mondo a Silverstone la Gazzetta dello Sport, né gli altri giornali, registrano l’evento come un momento di svolta. Nemmeno la dicitura “Formula 1” compare a segnare uno stacco tra quel che è stato e quel che sarebbe stato da lì in avanti. Ma da quel primo gran premio del primo Mondiale, niente sarebbe rimasto uguale.
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