Kevin Schwantz analizza le rivalità attuali della MotoGP. Orgoglioso di essere idolo di Rossi, si diverte con i duelli Dovizioso-Marquez. Inevitabile il confronto con lo scenario che ha vissuto da pilota
Kevin Schwantz non è solo il campione del mondo della classe 500 nel 1993. E’ un’icona del motociclismo, che tanti piloti di oggi considerano un idolo e un modello. Tra questi Valentino Rossi, Andrea Dovizioso e Alex Rins, la nuova stella della Suzuki. Schwantz, che ha attirato l’attenzione anche del pilota NASCAR Tony Stewart, è stato protagonista di una recente puntata di Last On The Brakes, il podcast ufficiale della MotoGP.
Schwantz ha parlato della situazione dei piloti americani, ma più in generale dello scenario attuale e delle differenze rispetto ai suoi tempi. Ha sottolineato come, oggi, ci sia una minore disponibilità da parte dei piloti. “Quando correvo io, non mi importava se mi chiedevano di partecipare a una piccola gara in Inghilterra nel weekend di Pasqua: io dicevo sì. Una volta feci le Match Races con la moto di Tony Rutter, che aveva corso il Tourist Trophy l’anno prima. Oggi tutti vogliono sapere dove si corre, come si corre, con quale moto si corre“.
Anche le rivalità hanno un sapore diverso, spiega Schwantz, orgoglioso di essere stato indicato da Valentino Rossi come suo idolo e da Rins come avversario ideale per una sfida in sella a una 500.
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Schwantz sulla rivalità Marquez-Dovizioso
“Le rivalità fanno il bene di questo sport” dice, “penso per esempio che quella tra Marquez e Dovizioso sia notevole. Si sono sfidati in battaglie durate fino agli ultimi giri, forse Dovi ha mostrato di avere qualcosa in più in quei momenti però Marquez ha dalla sua le vittorie e i titoli”.
Lo stupisce, però, la mancanza di interazione tra i protagonisti di oggi. Ai suoi tempi, dice, era tutto diverso. Come esempio, racconta quel che succedeva ad Assen, uno dei circuiti più iconici del motociclismo, che ha lo stesso valore di Spa-Francorschamps per la Formula 1. Negli anni ’80 il gran premio si disputava di sabato, e non la domenica. Al termine della gara, racconta il campione USA, “andavamo a cena e poi passavamo la notte nei motorhomes, anche dopo che il paddock era stato chiuso. Ci riunivamo, tutti noi piloti, nel motorhome di qualcuno di noi e ci facevamo una birra o due“. A Jerez, ricorda ancora, nel 1989 tutti i piloti si ritrovarono nel ristorante fuori dall’ingresso dopo la vittoria di Lawson. “Abbiamo iniziato a tirarci cibo addosso, è stato incredibile – conclude -, alla fine tutti noi abbiamo avuto dei problemi per quell’episodio“.