Il 30 aprile 1994 iniziava un weekend tragico per la Formula 1. Alla curva “Villeneuve” del circuito di Imola, moriva l’austriaco Roland Ratzenberger.
Aveva un sogno, l’austriaco Roland Ratzenberger. Voleva arrivare in Formula 1. Aveva due sorelle, era fidanzato con una fotomodella, ascoltava Prince e Peter Gabriel. Ha realizzato quel sogno nel 1994, dopo una gavetta durata oltre dieci anni. Ha ottenuto un ingaggio per una piccola scuderia, la Simtek. L’ultima immagine del suo sogno è il sangue che sgorga dal casco dipinto con i colori della bandiera austriaca. Un pezzo dell’ala anteriore si è incastrato sotto la macchina e l’ha fatta decollare, prima di atterrare sul muro a lato della curva Villeneuve. E’ il 30 aprile 1994, inizia il weekend più nero nella storia della Formula 1
Ratzenberger ha deciso a tre anni che sarebbe diventato pilota. Ha studiato progettazione auto, si è pagato l’iscrizione a un kart club lavorando in una panetteria, poi come meccanico e istruttore di guida. Ha esordito in una corsa il 4 settembre 1979 al Salzburgring, su una Formula 1600 Ford. Dopo 14 anni e 186 gare, con 33 vittorie e 54 podi, nelle formule minori, ottiene la grande occasione della sua vita alla fine della stagione 1993 grazie all’aiuto della manager monegasca Barbara F. Behlau.
Nel primo Gp della stagione, in Brasile, non si qualifica. Arriva undicesimo però sul circuito di Aida, in Giappone. E’ la prima volta che la Formula 1 corre su quel tracciato, e l’austriaco è l’unico ad averci già gareggiato in passato.
Durante un sorpasso, quasi si tocca con Rubens Barrichello. “Io e Roland ci eravamo toccati mentre lo stavo passando. C’è stato un disguido e lui mi ha stretto. Avrei voluto avere un chiarimento amichevole con lui“. Non potranno farlo. Barrichello, nelle libere del venerdì di Imola, si salva per miracolo. Il brasiliano sta parlando con i giornalisti del suo incidente, quando assiste agli ultimi istanti di vita di Ratzenberger. E’ il secondo lutto sportivo in pochi mesi per l’Austria, dopo la morte della sciatrice Ulrike Maier a Garmisch, pochi mesi prima.
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Ayrton Senna si lamenta con i commissari, sostiene che le monoposto siano diventate troppo veloci e poco sicure. Da quella stagione, infatti, la FIA ha abolito le sospensioni attive, l’ABS e il controllo di trazione. Le auto sono più instabili, più difficili da guidare. La maggiore altezza da terra, da 2.5 a 4 centimetri, riduce anche il carico aerodinamico. In più, le ruote posteriori devono avere una sezione più stretta, da 457 a 381 mm, per cui si riduce anche l’appoggio sull’asfalto.
“Ci siamo illusi di aver risolto il problema della sicurezza. Non è così. I telai oggi sono talmente robusti da restare quasi indenni ma il pilota è ancora troppo esposto nella zona testa-casco-collo. E’ successo così anche con Ratzenberger” dice Niki Lauda a Carlo Marincovich, che lo intervista per Repubblica. “E’ stata eliminata gran parte dell’ elettronica che ti faceva correre come su un binario, ma le velocità ad Imola sono cresciute. (…) A Ratzenberger la perdita del “baffo” anteriore è costato la mancanza improvvisa di qualche centinaio di chili che schiacciavano la vettura al suolo. Li perdi e voli senza poter fare nulla“.
Max Mosley, all’epoca presidente della FIA, parteciperà ai funerali dell’austriaco e non a quelli di Ayrton Senna. Racconta di una cerimonia intima, con i familiari, la fidanzata, qualche connazionale come lui nel mondo delle corse. Quel weekend, ha detto alla Reuters nel 2014, “ha avviato un percorso di cambiamento che ha salvato migliaia di vite. Senza quel tragico weekend, non avremmo mai avuto l’Euro NCAP , i crash test, le leggi che hanno innalzato i livelli di sicurezza. Migliaia di persone, che oggi viaggiano sicure e contente in auto, sarebbero morte“. Ma per ottenere tutto questo, non sarebbe bastata la sola morte di un pilota austriaco semi-sconosciuto. Da solo, quell’incidente sarebbe rimasto un nome in più alla lista dei piloti vittime dello “Sport Crudele“, come recitava il titolo di un celebre libro sulla Formula 1 degli anni Sessanta.
L’orizzonte, però, sarebbe cambiato in 24 ore, quando sullo stesso circuito, in mondovisione, sarebbe finita la corsa di Ayrton Senna. “La Formula 1 – ha detto Mosley nell’intervista alla Reuters – e le morti di Senna e Ratzenberger, hanno accelerato il cambiamento in materia di sicurezza sulle strade. Senza quelle tragedie, magari ci saremmo arrivati dopo 15 o 20 anni. Dopo altre migliaia di vittime. Invece, quelle persone sono ancora vive. ed è la cosa che conta di più”.
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