Auto turbo, e non solo. A detta non solo di chi li ha vissuti ma anche di chi li ha studiati come fenomeno sociale, gli anni ’80 hanno avuto il grande merito di essere un periodo di estrema apertura. Il sogno era a portata di mano e chiunque poteva realizzarlo. Un buon lavoro, una bella vacanza, un attimo di celebrità. E le auto rientravano nell’immaginario collettivo tra i sogni da poter raggiungere e magiari concretizzare.
Alcune auto, proprio come oggi, restano sogni che per definizione restano irraggiungibili: Ferrari, Lamborghini, Maserati… ma mai come negli anni ’80 anche le case automobilistiche diedero l’opportunità a chiunque di vivere il desiderio di alzare la voce, di “fare la voce grossa” e di potenziare quelle che erano le proprie potenzialità.
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È un paradosso, se vogliamo, ma mai come negli anni ’80 ci sono state auto piccole estremamente veloci e aggressive. Questo ha portato non solo a un vero e proprio studio che ha consentito alle grandi case automobilistiche di ottenere grandiosi risultati commerciali con alcuni modelli ma ha offerto anche a ingegneri e designer la possibilità di mettere in pratica soluzioni estreme su vetture assolutamente popolari. La sportiva che fece epoca in Italia è stata senza dubbio la Fiat Uno turbo. Su una scocca assolutamente proletaria, la Fiat riuscì ad allestire un motore 1.3 Turbo a iniezione elettronica (derivato dagli studi della X1/9) da 105 cv e, alleggerendo il peso ed effettuando alcuni arditi esperimenti cromatici, la macchina divenne quanto di più aggressivo fosse possibile anche per i neopatentati a un prezzo decisamente abbordabile. Un motore sul quale qualsiasi meccanico era in grado di mettere le mani trovando spunti per qualche cavallo supplementare.
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La Mini Cooper era stata la prima piccola sportiva diventata oggetto di passione maniacale: nata in Inghilterra dove esistevano gare open anche a chi non aveva alcuna licenza di guida sportiva, la Cooper 1,3 era uno status symbol già negli anni ’60. Era l’auto dei figli di papà della media borghesia inglese e di chi dopo pochi stipendi poteva già permettersi un finanziamento e la sua prima auto. Assetto bassissimo, strumentazione sportiva con tachimetro gigantesco, accelerazione spinta per un peso ridottissimo, la Mini Cooper è stata una macchina che ha fatto epoca e che è stata replicata splendidamente in chiave moderna con le nuove versioni.
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La Renault 5 era l’auto giovane della casa francese: ma se la R4 voleva essere spartana, essenziale e più adatta a chi lavorava, la 5 era invece una versione che strizzava l’occhio alla moda, al glamour e che si prestava con scelte cromatiche molto coraggiose a non passare mai inosservata. La versione Turbo era di fatto l’auto turbo per eccellenza, con spoiler, prese d’aria evidentissime e un motore da 1.400 cc su una carrozzeria esile e certo non concepita per le prestazioni sportive, diventò un autentico oggetto di culto per chi amava la velocità cittadina con una gamma di accessori infiniti che strabordavano nell’eccessivo. Ma erano gli anni ’80. Tutto era possibile e la prima regola era non passare inosservati.
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Tra le più amate sportive di sempre, non necessariamente un’auto turbo fu la A112, la Abarth di casa Autobianchi, un grande successo commerciale. La casa milanese produsse la A112 come riposta italiana alla Mini alla fine degli anni ‘60. Linee meno bombate e più squadrate: una macchina che guardava anche al mondo femminile oltre che a quello dei giovanissimi. Con la realizzazione della terza serie nacque la Abarth che inizialmente era alimentata da 60 cavalli ma che nella sua versione più popolare diventò ancora più spinta. Gobba sul cofano motore con presa d’aria, supplementare e motore 1050 per 70 cavalli, con cambio a cinque marce ed accensione elettronica. Una macchina riuscitissima: interni degni di un salottino ma con una vera anima sportiva.
La A112 Abarth ebbe anche il merito di avviare ai rally fior di piloti che con pochi soldi e una macchina competitiva riuscivano a mettersi in luce senza sfiguare.
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