Una cerimonia asciutta in una giornata ventosa e uggiosa che forse ha voluto ricordare ciò che ha costretto Genova a una delle imprese più grandiose della sua storia, la realizzazione del suo nuovo ponte. La tragedia del 14 agosto 2018 resta, indelebile, nella memoria di tutti anche in una giornata di festa e di unione.
È mezzogiorno in punto: c’è vento e le bandiere con la croce di San Giorgio si gonfiano come se fosse una giornata di festa. Dall’impalcato risuona la voce metallica di una radio: “Ghe semmu, è varato”. Ghe semmu, per un genovese che ha voglia di farsi capire da chiunque, vuol dire semplicemente ci siamo. A quota zero una voce dice “Grazie ai gentili ospiti, le operazioni di varo si sono concluse”.
Istantaneamente dalle sirene delle aziende vicine si alza un suono che riecheggia fino al mare. Suonano le trombe di navi e rimorchiatori, dei trattori del porto e dei camion. Il lamento delle sirene dura un minuto abbondante. L’ultima volta che avevano suonato così era stato nella giornata di lutto cittadino dopo la tragedia del crollo del ponte Morandi, quando la città si era fermata.
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Conte presente per l’ultimo varo del nuovo ponte di Genova
Stavolta non si ferma nessuno, così come nessuno festeggia. L’applauso è molto timido e contenuto, estremamente genovese anche in questo. Il premier Giuseppe Conte arriva sotto la campata e viene accolto con quella freddezza tipica dei genovesi che da queste parti non hanno ancora dimenticato le telefonate del suo addetto stampa Rocco Casalino quando il ponte crollò (“con questa storia del ponte mi salta il Ferragosto”) e che per altro hanno uno storico pessimo rapporto con la politica istituzionale. L’applauso viene fatto soprattutto agli operai quando scendono dall’impalcato che, mascherine incollate al volto, si piazzano pacche sulle spalle da spezzarsi la schiena. Qualcuno piange. Il ponte è unito. Anche gli ultimi 44 metri del ponte – quelli compresi tra le pile 11 e 12 – sono sistemati.
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Il giorno del ponte: le parole di Conte
Ci sono voluti 620 giorni per sbaraccare le macerie, seppellire i morti, radere al suolo il quartiere Morandi, quello che era costituito da numerosi casermoni popolari che sorgevano proprio sotto il ponte (ed erano testimoni dei calcinacci che ne precipitavano) e ricostruire tutto. Il 28 aprile 2020 verrà ricordato come il “Giorno del Ponte” che a Genova, città che per la verità non ha una grande memoria nazionalista, qualcuno ha ribattezzato il Ponte Italia. Un gesto di generosità di una città che italiana si è sempre sentita solo fino a un certo punto ma che pesa in questo momento in cui unire ha molto più valore che dividere.
Conte si limita a una presenza istituzionale e formale e dice poche parole: “Lo Stato non ha mai abbandonato Genova la mia è una presenza doverosa nei confronti della città e di questi lavoratori che hanno dato l’anima ma sono qui anche con grande piacere perché oggi suturiamo una ferita”. La cicatrice resta: “Non possiamo certo dimenticare le 43 vittime che hanno perso la vita e sicuramente i giudizi di responsabilità che sono nati da quella tragedia non si sono ancora completati e devono completarsi”. Conte ha voluto sottolineare che “il cantiere del ponte è un simbolo per l’Italia intera perché rappresenta l’Italia che sa rialzarsi, che si rimbocca le maniche, non si lascia abbattere, non si lascia sopraffare”. Conte ha parlato di Modello Genova applicabile all’Italia: “Una luce che dà speranza all’Italia intera”.
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Genova dice grazie ma senza sorridere
Genova ringrazia come suo costume e come dice un famoso proverbio di qui: “Riso ræo, strenzo i denti e parlo ciæo”, i genovesi ridono di rado, stringono i denti e parlano chiaro. Ha parlato chiarissimo anche con noi di Automotorinews il sindaco di Genova Marco Bucci le cui prime parole sono in vernacolo zeneixe: “Pe “Pe Zêna e pe Sàn Zòrzo” dice il sindaco genovese rendendo attuale un grido che era di battaglia. Lo urlarono i crociati che partivano dalla Commenda di Pré, lo urlano gli addetti al varo nei cantieri più antichi della città e lo aveva urlato pur Gian Battista Perasso, più noto come Balilla, un ragazzino che nel 1746 scagliò una pietra agli austriaci che occupavano la città dicendo “che l’inse…” cominciamo. E si scatenò una furiosa rivolta.
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Le parole del sindaco Bucci
“Il ponte non è finito. Lo dico con chi sa che ha ancora degli obiettivi da raggiungere. Abbiamo lavorato pensando al bene di Genova e dei genovesi senza mai fermarci. Questo cantiere ha riposato solo un giorno, quello dello scorso Natale. Oggi celebriamo il ricongiungimento della città e della valle. Dedichiamo questa giornata a quelle 43 vittime, ci ricorderemo di loro per sempre e lo faremo con un memoriale sotto il nuovo ponte. Uno spazio progettato assieme alle famiglie. Ora rendiamo questo ponte un capitolo portante per far lavorare questa città al di là della vallata e del terzo valico”.
“Abbiamo dimostrato una volta di più che da queste parti ci viene più facile lavorare e costruire che non litigare. I genovesi hanno del DNA una dignità che trasuda lavoro e cultura della sofferenza, anche nei momenti più difficili qui non si è mai pensato ad altro che a ricostruire il ponte e ripartire ma sono certo che nessuno dimenticherà da che cosa è nata questa grande impresa. Come si chiamerà il ponte non lo so… ci stanno arrivando migliaia di suggerimenti e alcuni sono davvero emozionanti. Lo decideremo alla fine di maggio. La prima auto conto che possa transitare tra metà e fine luglio. Orgoglioso? Sì, sono molto orgoglioso ma soprattutto di questa città e della sua gente”.