Brano apparentemente sofferto e presentato da un video estremamente ‘randagio’, Scar Tissue dei Red Hot Chili Peppers è un inno alla libertà più estrema, perfetto per la nostra playlist in auto.
È il 14 giugno del 1999, vivo a Milano da un annetto e le cose vanno molto bene. Sono sposato, mia moglie aspetta Edoardo, ho una vita professionale di prim’ordine e succedono cose che qualche anno prima potevo solo sognare. Mi chiama il direttore dell’agenzia internazionale con cui collaboro per musica e spettacoli: “Vai al Four Season c’è la conferenza stampa dei Red Hot Chili Peppers che presentano il nuovo album. Dopo la press session collettiva hai cinque minuti con un solo musicista a tua scelta”.
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La playlist di John Frusciante
Chiedo Frusciante, e me lo danno. Il chitarrista aveva lasciato la band all’apice del successo ed era rientrato dopo un solo album di ‘stasi’ in cui era stato più volte vicino alla morte. Riabilitato e ricaduto dopo tre anni di droga e rehab era finalmente di nuovo in condizioni presentabili: certo non buone. Ma è come se a un appassionato di cinema dicessero “conoscerai Scorsese e De Niro”. I minuti diventeranno dieci, lui e Kiedis mi firmano anche con un autografo lentissimo e tutto arzigogolato la copertina del CD che qualche tempo dopo regalerò a Irene, la simpaticissima figlia dei miei padroni di casa cui volevo un gran bene.
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Cicatrice, ti ho così tanto desiderato
A John Frusciante chiedo come avesse concepito la parte musicale di Scar Tissue, così sofferta, così dolce ma anche angosciata… “Sembra una seduta di psicoterapia di gruppo” gli dico. Il chitarrista, che era reduce dall’ennesima riabilitazione dall’eroina e che era una cicatrice vivente, con un braccio devastato da un’ustione e un volto che tradiva anni di eccessi, alza gli occhi e mi guarda, fisso… “L’ho scritta quando non avevo più un dente in bocca e vedevo la morte in faccia ogni giorno. Ecco com’ero ridotto, volevo fare l’hippy, sognavo la libertà, la strada, ma alla fine ero un tossico conciato da buttare via che non voleva ammettere i suoi errori. La prima cosa che incisi fu l’assolo, cosa che non mi era mai successa prima. Poi arrivò l’attacco iniziale ma solo dopo, quando Anthony iniziò a mettere giù le rime, la canzone prese forma. Io ero ancora molto debole e non la ricordavo mai, a ogni giro veniva diversa. Ancora oggi credo che quella canzone in qualche modo mi abbia salvato la vita”.
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Una mandibola da ricostruire
Il testo parla di un re del sarcasmo, Dave Navarro, il chitarrista che sostituì Frusciante e di una persona che parlava con tono pacato perché aveva la mandibola rotta… Frusciante, cui ricostruirono tutta la bocca dopo che aveva perso i denti per il massiccio uso di droga.
Gli chiedo del video, subito in testa alla playlist di MTV (oggi quasi 300 milioni di visualizzazioni su You Tube). Lo avevano girato al tramonto nel deserto del Mojave su una Pontiac Catalina del ’67, conciata peggio di loro. Ci sono citazioni dell’incendio che distrusse la casa di Frusciante, bruciata tre anni prima mentre era completamente fatto e nel quale restò gravemente ustionato. La band suona tra i rifiuti con degli strumenti rotti e abbandonati un brano malinconico e pieno di rimpianti…. “Era un viaggio dentro noi stessi, ci ritrovavamo dopo esserci persi, ci eravamo insultati, feriti, calpestati eppure eravamo lì a spiegarci e a dire che la nostra era una famiglia che tra mille casini aveva ancora le sue cose da dire. Il regista scelse il deserto perché nel deserto ci eravamo persi dopo gli eccessi di “Under the Bridge” e nel deserto iniziava la nostra redenzione. Eravamo feriti, incerottati, malconci. La vita ci aveva fatto del male ma eravamo vivi e insieme. La parte finale del video, quando la mia chitarra si rivela essere un rottame e vola via, è quello che preferisco”.
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Playlist verso distanze sconosciute
Quando sento questa canzone, quasi sempre in macchina, penso a come la libertà possa prendere forme diverse spesso anche molto pericolose. Si rischia di essere prigionieri della propria libertà e di non riuscire più a riprendere in mano la propria vita, una vita se vogliamo normale. Le cicatrici di cui parla la canzone sono pieghe indelebili dell’anima che ogni rapporto, ogni relazione, qualsiasi incrocio, incide in modo profondo. E ci definiscono.
Sono passati vent’anni da quell’incontro così affascinante e un po’ mistico e Scar Tissue continua a essere uno dei motivi dominanti delle mie play list, consigliata a chi viaggia e non sa bene dove, con la consapevolezza che se non si ha ben chiara la direzione da prendere, tanto vale andare verso distanze sconosciute.