Ore e ore di video, migliaia di scatti, tutto realizzato dalla sella di una moto, una BMW R1200GS tra le strade deserte di New York. Anche nei momenti più drammatici della storia umana, l’arte sa insegnarci qualcosa.
La primavera a New York è qualcosa di straordinario: Central Park esplode di colori e di suoni, Times Square è rumorosa e caotica quasi più che a Natale e Broadway è una festa continua con locali e teatri sempre aperti. Ma questa non è una primavera come le altre. La città è messa in ginocchio dal coronavirus, sono state raccolte tante vittime non solo nei quartieri più poveri e tra i senza tetto ma anche sotto gli appartamenti residenziali di Manhattan. Ovunque c’è senso di angoscia e di lutto.
Una moto nel deserto di New York
Anche in questa sensazione di precarietà il punto di vista degli artisti è fondamentale perché riescono a dare concretezza e immagine a un momento drammatico ma storico della nostra vita e di questa epoca. Enric Martì, catalano di Barcellona, si definisce un cittadino del mondo. Gira il mondo con telecamera e macchina fotografica e raccoglie scatti e filmati che diventano mostre e documentari. È un artista sensibile e quotato. La moto è la sua grande passione.
Ha girato e scattato foto incredibilmente tragiche a Sarajevo, tra i quartieri devastati dalla guerra civile e dai rastrellamenti etnici. Ma anche a Chernobyl, la città fantasma dopo l’esplosione del reattore C della centrale nucleare. Ovunque ci sia stato qualche disastro provocato direttamente o indirettamente dall’uomo Martì ha raccolto una testimonianza. In questi giorni è stato a New York.
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Dodici giorni di lavoro e chilometri
Enric Martì ha deciso di girare in moto New York insieme alla collega Wong Maye-E, un’altra fotografa di fama mondiale percorrendo le strade del centro di New York in moto, in pieno giorno. E scoprendo dalla sella della sua BMW R120GS una realtà surreale della città che non dorme mai, e che per una volta invece sembra essere spenta. Anche Wong ha lavorato in ambienti inconsueti: è stata una delle poche fotografe che è riuscita a pubblicare foto artistiche scattate in Corea del Nord. Senza censure.
Le sessioni di ripresa e di scatti sono continuate per dodici giorni, due al giorno, senza interruzioni e senza programmi. Non una scaletta, non una sceneggiatura alla quale attenersi. Dal Greenwich Village a Gowanus da Manhattan a Harlem da Red Hook a Elmhurst da Staten Island a Brooklyn passando per Queens e Bronx. Niente cavalletto: tutto a mano libera, spesso scattato o filmato dalla sella della moto in modo incerto e traballante. Ma estremamente vero. Lunghe file di taxi che sembrano abbandonati, negozi chiusi, luci spente. Poca gente per strada. È la stessa città di Warhol e Lou Reed, dei Ramones e di Sex and the City, di Billy Joel e degli Yankees. Tutto è così silenzioso, irreale.
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Una città fantasma e piegata
“Volevamo dare l’idea di essere due vagabondi in una città nota ma fantasma – dice Enric – volevamo rubare scatti e immagini per documentare in modo visivo quello che a parole non si può rendere. Crediamo di esserci riusciti”.
New York tornerà quella di sempre: con il suo traffico intasato, la metropolitana stracolma, la folla di gente che si sposta in modo frenetico da un capo all’altro di una città sempre sveglia e attiva. Ma oggi le immagini, per una volta, rivelano una città ferita e piegata su stessa e sulle proprie ferite.
I filmati, numerose ore di girato, sono stati acquisiti dalla Associated Press che lo ha già pubblicato nelle sue top stories, insieme a una raccolta delle foto di Wong Maye-E: tutto adesso verrà montato e postprodotto per realizzare una mostra e un videodocumentario.