Che cosa si può comunicare durante una pandemia che ha chiuso fabbriche e concessionarie? Il fatto che nonostante tutto siamo vivi e abbiamo ancora qualcosa da dire. Ecco come sta cambiando l’industria degli spot pubblicitari dopo il coronavirus.
Molti studiosi di comunicazione l’hanno definita emergenza dettata dalla necessità ma, tutto sommato, potrebbe anche andare bene la definizione esattamente contraria punto e cioè una necessità dettata dall’emergenza. Quella di comunicare che le grandi aziende non chiudono, anche se in gran parte hanno sospeso la loro produzione e che restano sul mercato lavorando soprattutto sul fronte delle relazioni e della programmazione in vista di una ripresa che si annuncia comunque, molto difficile per tutti.
A che serve uno spot pubblicitario in un momento in cui le fabbriche non producono, le concessionarie sono chiuse e la gente ha problemi concreti ad arrivare alla fine del mese? “A ricordarci che siamo vivi e che le nostre passioni sono e rimangono intatte” ha detto Francis Ford Coppola, regista e voce dello splendido spot del gruppo FCA.
In un periodo comunque drammatico ecco che l’industria dello spot pubblicitario cambia tutto. Ci si rivolge alla gente con tono pacato, si fa squadra, la tecnica del buttadentro o del vendere-vendere-vendere non serve più. La musica si fa orchestrale e non ritmata, i colori si fanno soffusi e tutto diventa molto emozionale. Quello che ha realizzato Francis Ford Coppola è un vero capolavoro ma in definitiva quello che interessa è soprattutto la chiave di lettura che si usa che è quella dei coinvolgimento emotivo.
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Tutto si sposta in una chiave più promozionale e meno commerciale. Si sposta il dialogo da un principio cardine, che è quello dell’invito alla prova, del ‘toccare con mano’, del coinvolgimento di chi vende a quello di chi compra, a quello della squadra. Siamo tutti insieme, tutti dalla stessa parte coinvolti dagli stessi problemi: quelli di un paese che prova a stare in piedi nel bel mezzo di una tormenta.
Gli americani hanno un detto che arriva dagli stati del sud ed è “Together we stand, divided we fall”, insieme si resiste e divisi cadremo. Lo fece proprio Dwight Eisenhower durante la seconda guerra mondiale e anche nel corso della sua presidenza alla Casa Bianca. Il tutto in un paese che di fatto così unito non è, ed è pieno di rigurgiti razzisti drammatici. La Ford ha affidato alle sue immagini di repertorio realizzate anche durante la II Guerra Mondiale il suo messaggio al paese, il concetto era “built to lend a hend”, fatta per dare una mano. Ma si scopre tale solo di fronte alle grandi gioie, magari come nel nostro caso la vittoria di un Mondiale di calcio insperato, o quello di una grande tragedia.
La Toyota ha lanciato la campagna “Here to Help”, la Nissan ha mostrato il lavoro dei suoi reparti per la fornitura di materiale tecnico agli ospedali.
Gli investimenti pubblicitari cambiano e si adattano all’onda emozionale che ha travolto il paese. Si produce meglio e di meno, per pochi passaggi soprattutto televisivi, perché la gente sta in casa e torna a guardare alla tv come a un focolare ed è meno frenetica di prima. Si studiano messaggi che scadano il cuore perché il portafoglio è gelido e il momento è drammatico. E perché come dice il regista, sceneggiatore e produttore, “la prima cosa che dobbiamo celebrare è che nonostante tutto chi ci legge e ci ascolta è vivo, proprio come noi”.
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