All’età di 90 anni è morto Emilio Giletti, figlio del conduttore Massimo, che negli anni ’50 corse per la Maserati
Si è spento ieri all’età di 90 anni Emilio Giletti, padre del noto giornalista e conduttore Massimo, dopo essere stato ricoverato nell’ospedale di Novara per un aneurisma. I funerali si terranno domani a Ponzone Trivero, in provincia di Biella. L’uomo, oltre ad essere un importante imprenditore nel settore tessile, in passato è stato anche un pilota automobilistico. La sua carriera è stata breve (si è ritirato a soli 25 anni per volontà genitoriale), ma intensa. Negli anni ’50 fu infatti ingaggiato dalla Maserati per correre con le vetture sport e monoposto insieme alla leggenda Juan Manuel Fangio.
Emilio Giletti, il racconto di un sogno stroncato
Qualche tempo fa, ai microfoni di Sportweek, ha raccontato la sua breve carriera automobilistica. “Ho cominciato a guidare quando avevo 10 anni, sulla famosa Topolino di quei tempi. Aspettavo che arrivasse la domenica, quando la fabbrica si svuotava, e la prendevo di nascosto. Restavo quasi in piedi nell’abitacolo, per raggiungere il volante e i pedali, qualche volta non riuscivo a mettere la retromarcia e mi facevo aiutare dagli operai a spostarla. Poi giravo fra gli 86 mila metri quadri del complesso, attento che i miei genitori non mi scoprissero. Ho corso le prime gare in incognito. Usavo uno pseudonimo: Piliomo. L’iniziale veniva dal nome di mio fratello maggiore, Pier Anselmo. Appena presa la patente, nel 1948, mi sono iscritto alla cronoscalata Biella-Oropa con una Lancia Ardea, cancellando i numeri di gara prima di tornare a casa”.
Ancora, sull’amicizia con Fangio: “Al GP di Siracusa andavo più forte di un secondo al giro. Facevo in pieno una curva che i siciliani avevano ribattezzato del ‘Cimitero’. Fangio volle che andassimo a fare un giro di pista a piedi e che gli dicessi in ogni punto quale marcia mettevo e dove frenavo. Era uno dei pochi a essere veloce sia nei circuiti sia nelle corse su strada. Un grande intenditore di meccanica. Provava quattro auto, poi a fine giornata diceva ‘mettete quel motore su questo telaio’. E agli altri restava la carretta. A me capitò proprio nel GP di Modena di F.2, tanto che la macchina si fermò dopo pochi giri. Ma in generale non era geloso. Nelle prove libere di Monza, dove ero riserva, mi spiegò come dovevo affrontare la curva di Lesmo, che allora si faceva in pieno dopo il rettilineo, a 230 all’ora. ‘Entra deciso e metti le ruote dove le metto io’. Ma il mio terreno preferito erano sicuramente le strade della Targa Florio, con fango e pioggia, oppure il Passo della Futa-Raticosa e di Radicofani alla Mille Miglia, dove si rischiava per via delle gomme strette e dure come il legno”.
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