Fernando Alonso sogna di chiudere il Mondiale in Brasile: intervista al pilota Ferrari

INTERVISTA A FERNANDO ALONSO – A prescindere da come finirà, la volata per il titolo mondiale in cui è impegnata la Ferrari ha qualcosa di mai visto prima. Senza aprire libri troppo polverosi: è diversa dai trionfi di Michael Schumacher che negli anni imparò a correre contro se stesso, e anche dal successo mordi e fuggi di Kimi Raikkonen nel 2007. Nella ricostruzione dell’obiettivo che a metà stagione sembrava compromesso ci sono più tenacia, più fatica, più sangue freddo. In qualche modo più modernità, e questa l’ha portata Fernando Alonso con il suo approccio analitico e implacabile che non conosce deroghe, né per i momenti difficili né per i trionfi. Guardate come lo spagnolo ha gioito due domeniche fa, nella gara che per la Ferrari avrebbe potuto costituire una Corea e che invece ha rimesso il boccino nelle mani del nostro. Fernando è così: parte dal regolamento che banalmente dice “vince il titolo chi raccoglie più punti”. E ad esso si adegua, anche e soprattutto in momenti cruciali come il match-ball a disposizione per chiudere i conti qui. Non è un computer: emozioni ne prova, ma con cautela le allontana dal cuore relegandole in una stanza segreta. Gli abbiamo chiesto di accompagnarci lì dentro, e lui non si è negato.

Buongiorno Fernando. Interlagos le fa pensare ai Mondiali vinti o a quello perso?

«A quelli vinti. La testa separa le cose buone da quelle meno, mette da parte queste ultime e alla fine rimane ciò che è positivo».

Quale giorno fu davvero speciale?

«La prima volta è indimenticabile. Ma qui c’è sempre un’atmosfera strana, densa di sensazioni, ogni anno c’è qualcosa di importante in agguato e che spesso mi riguarda: negli ultimi sei anni, questa è la mia quarta volata mondiale».

Chi era Alonso nei campionati vinti con la Renault nel 2005 e 2006, chi in quello perso con la McLaren nel 2007, chi oggi al la Ferrari?

«Alla Renault c’era un ragazzo con tanta voglia di vincere, messo davanti alle sue prime opportunità: viveva le gare con molto stress, era sempre teso. Alla McLaren c’era un Alonso che sapeva bene di avere pochissime possibilità di farcela. Oggi c’è un pilota più maturo, più uomo, più tranquillo. E più felice non solo per quello che ha dalla Formula 1, ma anche dalla vita».

Come si comporterebbe oggi, alla Ferrari, il giovanotto del 2005?

«Non sarebbe riuscito a fare questa volata. Ogni anno migliori, ogni gara è una lezione: oggi sono molto più preparato e forte di allora».

Peter Sauber ha criticato l’esultanza nei box di Ferrari e McLaren quando Vettel ha rotto il motore. Sauber è fuori dallo spirito della Formula 1 o la Formula 1 è fuori dallo spirito sportivo?

«La reazione di Sauber non ha molto senso. Non era un incidente: in quel caso ci si preoccupa che il pilota stia bene. La rottura di motore è come quando la squadra avversaria sbaglia un rigore. C’è un’esaltazione in chi non prende il gol, è normale. Altrmenti cosa dovrebbe fare: rimanere seduto, tutto serio?».

In molti la definiscono il pilota più forte del mondo.

«Ma no, ognuno ha il suo punto di forza. Chi è più veloce in qualifica, chi sul bagnato, chi con le supermorbide».

Qual è il suo?

«La completezza. Mi concentro sul fatto di dover raccogliere più punti degli altri. Talvolta devi accettare un quarto posto, ma quando hai l’occasione di vincere non la puoi perdere».

Corrieredellosport.it

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