L’Autovelox compie 50 anni, storia e sistema di funzionamento del velocimetro odiato dagli italiani

Ha quasi mezzo secolo l’invenzione più temuta dagli automobilisti italiani: l’Autovelox. Strumento che di certo non raccoglie le simpatie di chi è al volante di un’auto, ma che, va detto, se correttamente utilizzato da chi lo deve gestire, e soprattutto opportunamente segnalato, è in grado di salvare molte vite.

I dati, del resto, parlano chiaro: nei primi 9 mesi del 2010 sull’intera rete autostradale il numero degli incidenti mortali è aumentato del 14% e quello delle multe per eccesso di velocità del 12,5%.

Il ‘velocimetro’, come viene battezzato all’inizio degli anni Sessanta, nasce nei laboratori della fiorentina Sodi scientifica. In altri Paesi avevano già fatto la loro comparsa su strade e autostrade i primi modelli di misuratori della velocità, chiamati radar perchè basati aul principio del radar doppler. E’ di Fiorello Sodi, grande ammiratore del genio di Leonardo da Vinci, l’idea di introdurre il controllo della velocità dei veicoli anche sul mercato italiano. Ma con una tecnica diversa e più innovativa.

E sua è l’intuizione di creare uno strumento basato su una coppia di sensori, allora rappresentati da tubi pneumatici. Il prototipo viene presentato alle autorità cittadine e testato, con successo, sui viali del Parco delle Cascine di Firenze. Devono però passare alcuni anni prima che l’Autovelox faccia la sua comparsa su tutto il territorio nazionale: è il 1974 quando il modello ‘101’ viene adottato prima dalla Polizia stradale e poi da tutte le polizie municipali.

Negli anni successivi il ‘velocimetro’ si evolve, passando ad una strumentazione basata su sensori laser. E nella seconda metà degli anni Novanta arriva anche la misurazione in automatico della velocità, rendendo superflua la presenza di un agente della stradale per misurare e mettere a verbale l’infrazione.

Oggi gli Autovelox sono realizzati con la tecnologia più avanzata. Una coppia di (innocui) raggi laser perpendicolari alla strada, interrotti in sequenza dai veicoli in transito, determinano la lettura della velocità e in caso di superamento del limite impostato la ripresa fotografica digitale. Un terzo raggio permette il rilevamento della posizione del veicolo.

Vengono ‘catturate’ due immagini per ogni infrazione: un primo piano della targa posteriore ed un’immagine grandangolare dello scenario nel quale l’evento si è verificato. I dati vengono prima memorizzati temporaneamente su hard disk e successivamente archiviati in maniera permanente su un cd non riscrivibile, che permette di avere una serie di immagini originali e quindi legalmente valide. I dati trasmessi a distanza sono inoltre protetti da ogni manomissione grazie ad un sistema di criptazione.

Repubblica.it

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